Un medico di base è stato condannato a un risarcimento di 830mila euro dal Tribunale civile di Milano. Secondo i giudici ha contribuito a ritardare la diagnosi e la scoperta della sclerosi multipla su una 35enne che oggi si ritrova invalida all'80% e che avrebbe potuto veder ritardati questi peggioramenti di 20 anni se avesse fatto subito (cioè nel 2012) i dovuti esami e accertamenti, come riporta il Corriere della Sera. Si tratta di una sentenza che fa giurisprudenza: in questo caso, infatti, si tratta, per la paziente, di un "danno certo".
"La scintilla del dubbio" - La mancata correttezza della diagnosi, nei tempi giusti, ha anticipato un peggioramento della qualità della vita. "La mia speranza è che casi come il mio possano non far perire mai la scintilla del dubbio in qualunque persona si fregi del titolo di dottore. Il dubbio è umano, e se nell'esercitare la nostra professione, qualunque essa sia, cominciamo a trascurarlo, beh quella non può più dirsi una professione di cura", è il commento, riportato dall'avvocato Sabrina Lezzi, della vittima di questa vicenda.
Il no ad esami approfonditi - La vicenda, spiega il Corriere della Sera, risale al 2012. Una donna, allora 25enne, andò dal medico lamentando un'insensibilità dalla parte sinistra. Il medico, però, non ravvisò la necessità di fare esami o approfondimenti ulteriori e anzi ritenne "inopportuna" (ravvisando addirittura una "dubbia simulazione") qualsiasi ulteriore analisi.
La diagnosi della malattia - Solo nel 2014 alla donna venne diagnosticata la sclerosi multipla, con un ritardo che, secondo il giudice Angelo Ricciardi, non ha rappresentato solo "una perdita di chance da lesione al diritto alla salute", ma "un danno certo", consistente in una "anticipata perdita delle condizioni psicofisiche di cui la paziente avrebbe potuto godere per un certo intervallo temporale con l'effetto di rallentare i tempi di progressivo naturale avanzare della patologia".
Invalida all'80% - Oggi, infatti, la donna, che nel frattempo ha 35 anni, è costretta alla carrozzina e necessita di assistenza continua obbligata: è invalida all'80%, condizione che avrebbe potuto vivere solamente tra 20 anni, se la sclerosi multipla le fosse stata diagnosticata in tempo e non con un ritardo di 28 mesi, come avvenuto. Proprio qui sta la novità della sentenza del Tribunale di Milano.
Non si parla di chance ma di un "danno certo" - Non si tratta, infatti, di avere avuto meno "chance", cioè di essere stata "privata della possibilità di un maggiore risultato sperato, incerto ed eventuale", ma è stato appurato che la donna ha subito "un danno certo, consolidato e quantificabile" nelle "migliori condizioni di vita fisiche e psicologiche di cui la paziente avrebbe beneficiato" se solo avesse ricevuto una diagnosi "tempestiva" e fosse stata sollecitata la somministrazione di una terapia adeguata.
L'invalidità all'80% ritardabile di 20 anni - Infatti, secondo il giudice, "i 28 mesi di ritardo diagnostico, periodo sottratto alle migliori terapie praticabili, hanno caratterizzato un davvero molto più precoce salto di gravità del carico di lesioni portate dalla patologia, facendo precorrere i tempi della perdita di autonomia motoria e della disabilità" che diversamente sarebbero intervenute "con una latenza quantomeno di un decennio, fino a 20 anni": in sostanza l'invalidità della donna sarebbe rimasta attorno al 15% "almeno per un decennio" e solo dopo 20 anni sarebbe salita all'80%, come risulta al momento.