E' uscito il 6 maggio "La musica che ci gira intorno", il nuovo album di Paolo Belli a nove anni di distanza da "Sangue Blues". Un ritorno in grande stile per il musicista che si è "voluto fare un super regalo" per festeggiare i suoi 60 anni. Il disco contiene 13 canzoni di successo del panorama italiano in un arco temporale che va dalla fine degli anni 60 alla metà degli anni 90. "Questa opera - spiega Belli a Tgcom24 - è un modo per ringraziare tutti gli artisti che in qualche modo hanno segnato la mia vita artistica e umana". All'album partecipano anche Arisa, l'attore Stefano Fresi e il polistrumentista cubano Juan Carlos Albelo Zamora.
Con la sua Big Band (composta da sedici elementi) Belli ha riletto con sonorità swing, jazz e latin brani dei primi anni 70 come "Che sarà" e "La prima cosa bella", classici del nostro cantautorato come "La musica che gira intorno", "Futura", "Ma come fanno i marinai" e "L'anno che verrà", ma anche fatto scelte insolite come "Parlare con i limoni" di Enzo Jannacci e "L'italiano" di Toto Cutugno. "Tutto parte dalla voglia di regalare un po' di serenità alle persone e dalla voglia di dire grazie a tutta una serie di canzoni e di artisti che mi hanno insegnato sia dal punto di vista tecnico e musicale ma anche umanamente. Durante il lockdown ho iniziato a guardare alla mia discoteca e mi sono accorto di quante sono le persone a cui devo tanto. E siccome vedevo i ragazzi della mia band in crisi, ho iniziato a fare come a scuola, la dad: prendevo un brano, scrivevo a un po' di cose e poi chiedevo loro di mandarmi il giorno come loro vedevano quel brano".
Un gioco difficile da fare a distanza.
E infatti appena finito il lockdown ho deciso di andare in studio a registrare. Mi hanno preso tutti per pazzo perché oggi costa parecchio e la nostra non è musica che puoi fare con il computer. Ormai ho 60 anni, so che non si vendono più i dischi ma se non me lo faccio adesso un regalo del genere quando potrei? E non ho voluto nemmeno metterci dentro qualche inedito che avrebbe portato due soldini di diritti.
Come è andata in studio?
Meravigliosamente. Ci siamo divertiti come pazzi tanto che abbiamo pronte canzoni per altri due album
Mi ha colpito la scelta delle canzoni che, al di là del fatto di essere unificate poi dal sound della tua Big Band, sono soprattutto tratte dal canzoniere dei cantautori, da De Gregori a Dalla e Fossati.
Io ho sempre fatto vedere un lato mio che era quello super allegro o funky. Fino a un certo periodo della mia età non ho mai scritto una canzone d'amore. Questo non significa che io non abbia provato certi sentimenti e soprattutto che non abbia venerato i veri poeti. I primi dischi che ho comprato erano quelli di Guccini e di De André. Arrivato a questa età mi sono detto di essere sincero. Jannacci l'ho sempre amato e in questo caso ho scelto un pezzo meno scontato come "Parlare coi limoni" rispetto ad altri che potevano essere più vicini al mio mondo. Oggi non c'è più dottor jazz e mister funk, ma ci sono anche tante altre anime mie.
Per non parlare del pezzo di apertura, "L'italiano" di Toto Cutugno.
Intanto l'ho messo come primo brano perché quell'attacco "lasciatemi cantare" è perfetto per questo periodo storico. E poi dietro il brano c'è una storia personale. Anni fa Enzo Jannacci mi ha portato al compleanno di Cutugno e sono andato perché sapevo che c'era tanta gente che faceva parte del mio mondo, come De Piscopo, Zurzulo. Poi una volta lì ho imparato una grande lezione: Toto si è messo al sax e alla batteria e suonava jazz da dio, si è messo all'armonica e suonava milonga da dio. In quel momento ho capito di essere piccolo e di avere tanto da imparare. Tutti i brani possono avere una loro anima. "L'italiano" negli anni 80 aveva una ragione per essere fatta in quel modo, ma la si può cambiare avendo comunque grande rispetto.
Nel disco ci sono tre collaborazioni: Arisa, Stefano Fresi e Juan Carlos Albelo Zamora. Quella con Arisa è nata in occasione dell'ultima edizione di "Ballando con le stelle"?
Eravamo al servizio fotografico e lei mi si è avvicinata dicendo che avrebbe voluto fare qualcosa con me. Allora le ho spiegato che stavamo registrando il disco in studio. Le ho fatto vedere le canzoni e lei mi ha subito proposto di fare "Vorrei incontrarti tra cent'anni". Quando è venuta in studio poi mi ha fatto ricantare delle cose è ho così scoperto che oltre che un talento come cantante sa fare anche la vocal coach.
Poi ci sono Stefano Fresi e Juan Carlos Albelo Zamora.
Con il primo ci conosciamo da tempo ma non sapevo fosse un pianista così bravo, l'ho scoperto durante una trasmissione a cui abbiamo partecipato. Parlando del progetto che stavo facendo e quando gli ho detto che c'era "Cosa fanno i marinai" di Dalla e De Gregori ha detto subito "mia". Mentre Zamora è con me già da 10 anni ma ho scoperto per caso che suo padre suonava con Benny Morè, un mostro sacro della musica cubana. E così gli ho chiesto di fare su due pezzi l'arrangiamento dei fiati e i controcanti in Benny Morè style.
La tua carriera ha avuto un prima e un dopo. Il successo con i Ladri di biciclette e la carriera solista prima, l'esperienza televisiva poi. Questo nuovo ruolo come ha cambiato il tuo essere artista?
Partiamo dal presupposto che il mio sogno di bambino era fare televisione. Sono cresciuto guardando i grandi varietà del sabato sera. Quando ho iniziato a sfondare nella musica non è che mi lamentassi, andava più che bene. Ma dopo che me ne sono andato dai Ladri c'è stato un momento in cui la mia carriera andava malissimo e ho formato la big band perché avevo capito che era il mio modo migliore per esprimermi. E così facendo è arrivata la televisione.
Hai iniziato con Panariello e Carlo Conti e poi è arrivato "Ballando con le stelle" che fai da 17 anni. Ormai è il tuo mondo.
Io mi sento molto responsabile delle persone che suonano e lavorano con me. C'è una decina di persona che è con me da quasi 30 anni. Oggi più passa il tempo e più la musica non ti dà una consistenza economica, che invece la televisione può ancora darti. All'epoca quando è arriva l'offerta abbiamo accettato e dico meno male che l'abbiamo fatto. Non solo per il fattore economico, ma anche perché abbiamo avuto una crescita tecnica incredibile. Io dico sempre che fare un'edizione di "Ballando" è come fare tre anni di conservatorio. E in più sono arrivato nel posto in cui sognavo di andare da bambino.