Lo stock dei debiti commerciali di parte corrente della nostra Pubblica Amministrazione continua ininterrottamente a crescere: secondo i dati esaminati dalla Cgia di Mestre, nel 2021ha toccato il record di 55,6 miliardi di euro. Una cifra che rapportata al nostro Pil nazionale è pari al 3,1 per cento, il valore più alto registrato in Europa. Dei nostri principali competitor commerciali, ad esempio, i debiti di parte corrente sul Pil della Spagna sono pari allo 0,8 per cento, nei Paesi Bassi all’1,2 per cento, in Francia all’1,4 per cento e in Germania all’1,6 per cento. Persino la Grecia, che l’anno scorso aveva un rapporto debito pubblico/Pil che sfiorava il 203 per cento, presenta un’incidenza dei debiti commerciali sul Pil quasi la metà di quella italiana: 1,7 per cento.
I crediti non riscossi sono capaci di portare al fallimento - I debiti in conto capitale (ovvero quelli riferiti ai ritardi o mancati pagamenti per investimenti), secondo una stima dell’Ufficio studi della CGIA, potrebbero aggirarsi attorno ai 10 miliardi di euro. Sommandoli ai 55,6 di parte corrente spingerebbe l’ammontare complessivo dei debiti commerciali della nostra PA a oltre 65 miliardi di euro. Altresì, non sono poche le imprese che anche in questi ultimi 2 anni sono fallite; non per debiti, ma per crediti con lo Stato che non sono riuscite a riscuotere.
Pagano le fatture importanti, ma non quelle di importi minori - Tuttavia è corretto segnalare che negli ultimi anni i ritardi di pagamento, misurati con l’Indice di Tempestività dei pagamenti (ITP) sono mediamente in calo, anche se secondo la Corte dei Conti si starebbe consolidando una tendenza che vede le Amministrazioni pubbliche privilegiare il pagamento in tempi brevi delle fatture d'importo maggiore e ritardare intenzionalmente la liquidazione di quelle d'importo più basso. Questa scelta penalizzerebbe le piccole imprese che, generalmente, lavorano in appalti o forniture di importi nettamente inferiori a quelli “riservati” alle attività produttive di dimensione superiore.
Il cattivo esempio dei Ministeri - Nel 2021 tra i Ministeri con portafoglio, solo 2 su 14 hanno rispettato le scadenze di pagamento previste dalla normativa vigente. Tutti gli altri, invece, hanno pagato in ritardo. Le situazioni più “critiche” si sono registrate al Ministero dell’Interno (+67 giorni rispetto alla scadenza prevista per legge), alle Politiche Agricole (+ 42 giorni), alla Difesa (+33 giorni) e ai Beni Culturali (+21 giorni). La situazione è addirittura in peggioramento; nei primi 3 mesi di quest’anno, infatti, dei nove ministeri che hanno aggiornato l’ITP, solo quello delle Politiche agricole ha pagato in anticipo (-37,07 giorni). Tutti gli altri, invece, presentano un ritardo medio dei pagamenti: i più lenti nel saldare le fatture ricevute sono stati il ministero della Difesa (+18 giorni), quello delle Infrastrutture (+27 giorni), quello del Lavoro (+29 giorni) e quello dell’Interno (+47 giorni).
Le difficoltà degli enti locali nel Meridione - Tra le realtà amministrative pubbliche più in difficoltà nel saldare i fornitori scorgiamo i Comuni del Sud. Nel 2021, infatti, dall’analisi dell’ITP scorgiamo che l’amministrazione comunale di Lecce ha pagato le fatture ricevute con 50 giorni di ritardo (dato riferito al 3° trimestre 2021), a Salerno dopo 61 giorni, ad Avellino dopo 72 giorni, a Reggio Calabria dopo 154 giorni e a Napoli con 228 giorni di ritardo. Nel capoluogo regionale campano, se escludiamo i giorni festivi, i fornitori vengono pagati dopo un anno dalla scadenza prevista dalla normativa nazionale.
Previsioni e bocciature - Secondo l’Ufficio studi della Cgia, saldare la metà dei debiti potrebbe portare a un'iniezione di liquidità capace di creare almeno 250 mila nuovi posti di lavoro. Intanto la Corte di Giustizia Europea ha già condannato l’Italia per la violazione dell’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private.
Perché la PA fatica a pagare - Le principali cause che hanno originato a questa cattiva abitudine che si protrae da almeno 15 anni sono: la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico; i ritardi intenzionali; l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi brevi i certificati di pagamento; le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture. A queste cause ne vanno aggiunte almeno altre due: la richiesta, spesso avanzata dalla PA nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture; l’istanza rivolta dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.