Sospeso, dolente, intimo e romantico. E' il nuovo disco solista di Alessandro Fiori, "Mi sono perso nel bosco", uscito per 42 Records. Un racconto emozionale, malinconico a tratti surreale, e uno sguardo personale e stralunato sullo smarrimento generale di vita, sogni e quotidianità con l'amore come elemento salvifico finale. Tra il cantautorato classico che si intreccia con suoni onirici e sospesi, i dodici brani scritti e composti dal cantautore (tranne “Pigi Pigi”) e prodotti da Giovanni Ferrario e Alessandro ‘Asso’ Stefana, sono frutto anche di un lavoro collettivo con tanti ospiti, da Brunori Sas a Levante, Colapesce, Massimo Martellotta, Dente, Iosonouncane ed Enrico Gabrielli (con cui aveva condiviso l'esperienza nei Mariposa). Il racconto a Tgcom24.
Cos'è il bosco del titolo? E' dove vivi? Cosa rappresenta?
Il titolo inizialmente dove essere "Desidera" ma poi il mio manager mi ha convinto a cambiarlo. In effetti è molto più a fuoco. Nel bosco ci vivo dai 12 anni. C'è un parallelo sicuramente e io riesco a smarrirmi sempre facilmente, mai faccio passeggiate da solo. In maniera metaforica rappresenta ogni tempo e spazio che ognuno si prende per trasformarsi. Sono quei periodi, circostanze e momenti della vita che devono essere presi di petto con responsabilità e coraggio per poi dirsi "Dai ne è valsa la pena di essersi persi per questo tempo". Io vivo sull'appennino tosco-romagnolo, ma questo disco sarebbe venuto fuori simile anche se fossi stato in un centro metropolitano.
Quando hai scritto l'album? E' figlio della pandemia?
No, può sembrare ma in realtà no. Ma è sinistramente profetico in certe canzoni. Però i brani erano stati tutti composti prima del febbraio 2020.
Il bosco anche un po' un simbolo di tutti gli aspetti della quotidianità e dei temi del disco?
In effetti già la canzone di apertura è abbastanza paradigmatica. C'è lo smarrimento, l'amore amicale, per i nonni, per i figli, ci sono sia elementi boschivi e di tutti, che domestici, privati, cose piccolissime, con l'amore che può essere l'unica delle soluzioni. In quell'humus onirico credo ci siano tutti quanti gli aspetti che volevo raccontare.
Il bosco sonoro del disco invece quale volevi fosse? Nei brani si ascolta una sovrapposizione di cantautorato da Tenco a Endrigo e suoni più sospesi tra Flaming Lips e Jim O'Rourke
Per dare una dritta molto vaga al produttore Giovanni Ferrario, gli avevo suggerito che questo disco me lo sarei immaginato tra Tenco e i Flaming Lips. In realtà per Tenco intendevo questo approccio abbastanza classico dei pezzi, e con i Flaming Lips invece pensavo che i vestiti sonori non fossero troppo canonici, ma che riuscissero a descrivere il mondo onirico, lo smarrimento, e le domande irrisolte. Giovanni Ferrario e Alessandro “Asso” Stefana sono riusciti esattamente a portare l'album dove il mio inconscio sperava che andasse. Intanto mi è venuta molta voglia di ascoltare di Jim O'Rourke, di cui altre persone me ne hanno accennato.
Raccontaci delle collaborazioni e degli ospiti. Come sono nate? Musicalmente quanto hanno forgiato il suono?
Assolutamente. Ci sono così tanti contributi di artisti validi che il disco ha sbandato in continuazione. E' la cosa più bella che possa accadere quando sei in una produzione. Così puoi essere sorpreso fino all'ultimo. Bella questa cosa partita con una canzone che misi sui social (Alessandro ha suonato "Una sera" per la prima volta, in pieno lockdown, in una diretta piano e voce, ndr) e con cui ci siamo sentiti tutti più vicini. Così abbiamo fatto nel disco, una specie di gioco collettivo per ricordarci che siamo una grande squadra, e più ci si aiuta più le cose vengono belle. Le collaborazioni sono frutto di una grande amicizia e di una grande stima, eccezion fatta per la partecipazione di Levante. In "Fermo accanto a te" pensavo per l'altra voce a quella della Bertè, per il suo timbro. Non era però così immediato collaborare con lei. E allora il produttore ha proposto di contattare Levante, che ha poi accettato con gioia.
La copertina dell'album ha questo animale fuori contesto, come il cervo rappresentato in quella dell'ultimo dei Fontaines D.C., uscito contemporaneamente. Cosa rappresenta e perché hai scelto quell'immagine?
Sì, strano e divertente questo caso simile. L'immagine del fotografo olandese Hannes Wallrafen l'ho vista su Instagram e subito mi ha colpito: sentivo che rappresentava al meglio la mia poetica e l'immaginario sospeso del disco. Oltre al fatto che contiene gli elementi domestici ed extra-domestici e la metafora di questa bestia potente che scalpita e allo stesso tempo ha questo bianco del suo manto, simbolo di candore e pietà.