Trovato morto nel Brenta, la mamma e la sorella di Ahmed: "Non si è tolto la vita, i suoi amici sanno qualcosa"
L'ipotesi di reato è stata modificata in istigazione al suicidio. E l'anno scorso, in quel tratto di fiume, un altro ragazzo si è lanciato dallo stesso punto: per le famiglie tra i due casi ci sono troppe similitudini
"Qualcuno degli amici sa qualcosa sulla morte di mio figlio". Ne è sicura Latifa Benijane, madre del 15enne Ahmed Joudier, padovano di origini marocchine trovato morto nel Brenta. Per lei, così come per l'altra sua figlia di 17 anni, il ragazzo non si è tolto la vita dal dolore per essere stato lasciato dalla fidanzatina ma spinto da una "mano" ignota, forse legata al giro delle sue conoscenze. Dopo aver aperto un fascicolo per sequestro di persona, ora il pm Andrea Girlando ha modificato l'ipotesi di reato in istigazione al suicidio proprio per allargare il campo delle ipotesi di reato.
"Qualcuno sa la verità su mio fratello - dice la 17enne a Il Corriere della Sera - e no parla perché ha paura delle conseguenze e della polizia, Ahmed non si sarebbe mai ucciso, aveva dei progetti, voleva trovare un buon lavoro, in passato aveva detto di voler diventare poliziotto, qualcuno lo ha spinto a suicidarsi". E poi: "Noi non ci fermiamo, andremo avanti fino a quando la verità non verrà fuori".
"Era un bravo ragazzo - insiste la mamma - non aveva a che fare con la droga". Sulla cerchia delle amicizie si concentra l'attenzione della squadra polizia di Padova, che analizza con un consulente pc e telefono usati dall'adolescente. Ad essere già ascoltati sono stati alcuni degli amici più stretti di Ahmed, gli stessi che avevano confermato che in effetti il 15enne da qualche tempo si comportava in modo strano.
Molte le voci che girano nel quartiere di Mortise, dal quale il ragazzo è sparito il 21 aprile. Più d'uno parla della frequentazione di un gruppo di bulli di un paese vicino, già protagonista di atti violenti. Ma anche del dispiacere di Ahmed per la fine della storia con la sua fidanzatina, alla quale ha lasciato l'ultimo messaggio inquietante. "Ci eravamo mollati - ripete la ragazzina - ma i nostri rapporti erano buoni".
Eppure proprio le parole di quell'ultimo vocale al cellulare fanno pensare. "Ho delle questioni in sospeso con alcune persone, più che altro penso che morirò, penso di sì, o se non muoio - dice Ahmed - avrò delle ferite gravi". Curiosamente è il ponticello di metallo che separa Padova da Cadoneghe, sul quale è stato ritrovato il cellulare del giovane, ad aprire allo scenario più inquietante, quello di una baby gang che agisce nell'ombra.
"Potrebbe non essere l'unico ragazzino ad essere morto in pochi mesi perché preso di mira da un gruppo di coetanei", è il sospetto del papà di Henry Amadasun, 18enne di origini nigeriane, che a settembre dello scorso anno si lanciò dallo stesso punto sul fiume Brenta. Il padre del giovane, Evans, ha parlato con il suo avvocato Marcello Stellin. "Troppe similitudini, le persone che hanno fatto male ad Ahmed potrebbero essere le stesse che hanno fatto male a Henry", ha detto l'uomo al legale.
A tendere un filo tra i due casi è anche il sindaco di Cadoneghe, Marco Schiesaro. "La morte di Ahmed riapre una ferita, quella lasciata per la morte di Henry - afferma - i due ragazzi se ne sono andati con la stessa modalità, hanno lasciato messaggi di addio, e inspiegabilmente si sono tolti la vita, credo che le due storie siano legate. Ahmed frequentava Cadoneghe e forse qui c'è qualcuno che sa qualcosa e che non parla - conclude - chiedo ai ragazzi e agli adulti, a chiunque sia a conoscenza di qualche informazione utile, di darci notizie".
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