La stupra con il ricatto del posto fisso in cambio di sesso, la Cassazione conferma: 6 anni e mezzo a un imprenditore
L'uomo, titolare di un agriturismo nella Bergamasca, aveva fatto ricorso chiedendo le "attenuanti generiche" perché la violenza sarebbe stata "un gesto occasionale" di un "onesto lavoratore"
E' stata confermata dalla Cassazione la condanna a sei anni e mezzo di reclusione contro un imprenditore della Val Seriana (Bergamo), che aveva violentato la donna che nel suo agriturismo si occupava di lavare i piatti chiedendole sesso in cambio del posto fisso. La Suprema Corte non ha concesso le attenuanti generiche all'uomo, titolare di una struttura con ristorante e produzione agricola, che si era difeso dicendo che si era trattato "di un gesto occasionale".
La violenza e il ricatto - L'imprenditore aveva colto la donna di sorpresa alle spalle, mentre si cambiava nello spogliatoio riservato al personale, e l'aveva violentata proponendole appunto lo "scambio": "Se ci stai ti faccio il contratto". Probabilmente convinto che l'avrebbe fatta franca perché aveva a che fare con una donna che riteneva una "poveraccia", che non avrebbe mai potuto permettersi una denuncia. Poi, così scrive l'Ansa raccontando la squallida vicenda, l'imprenditore aveva sostenuto che la condanna contro di lui fosse eccessiva perché, diceva, "sono un onesto lavoratore e un padre di famiglia sempre rispettoso delle regole". Una linea difensiva che non ha fatto breccia né tra gli "ermellini" né dal procuratore generale.
Dopo la violenza sessuale, che aveva provocato un ricovero in ospedale e due mesi di prognosi per la donna, l'uomo, P.R., 47 anni, aveva anche detto alla sua vittima che "se avesse accettato altri rapporti con lui, l'avrebbe messa in regola".
Il ricorso fino in Cassazione: "Gesto occasionale" - La difesa dell'imputato non si era data per vinta nonostante le condanne e, nel suo ricorso alla Suprema Corte contro il verdetto della Corte di appello di Brescia dell'11 febbraio 2021, chiuso con la condanna a sei anni e mezzo, ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche. "Avrebbero potuto essere riconosciute - ha sostenuto il legale dell'imprenditore - in considerazione dello status di incensurato dell'imputato, la cui condotta di vita precedente al fatto è stata sempre inappuntabile, essendosi in presenza di un gesto occasionale, compiuto da un onesto lavoratore e da un padre di famiglia sempre rispettoso delle regole".
Cassazione: "Condotta illecita da una posizione sovraordinata" - La Cassazione ha giudicato invece corretto il rifiuto dei giudici di merito di concedere le attenuanti con relativo sconto di pena per l'assenza di elementi "suscettibili di positiva considerazione, a fronte del disvalore della vicenda insito nel fatto che l'imputato ha compiuto una condotta illecita approfittando di una situazione lavorativa in cui egli si trovava in una posizione sovraordinata, essendo il datore di lavoro della persona offesa".
Confermato anche il risarcimento - Confermato dalla Cassazione, con la sentenza 14958 depositata dalla Terza sezione penale, anche il risarcimento del danno stimato in via equitativa in 45mila euro, somma ritenuta "congrua" dalla Corte di appello "tenuto conto della sofferenza non solo morale ma anche fisica, in considerazione delle conseguenze" della violenza. Anche in primo grado il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 7 novembre 2019, aveva inflitto sei anni e mezzo per questa violenza ai danni di una donna che, tra l'altro, viveva in condizioni di gravi necessità economiche e con figli piccoli. Il fatto è avvenuto nel novembre 2017. La vittima è stata sostenuta da assistenti sociali e personale medico nel suo percorso giudiziario.
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