Je suis vintage è un marchio che si occupa della customizzazione di abiti vintage, regalando una seconda vita a capi usati e non più utilizzati, facendo così proseguire il ciclo del prodotto a salvaguardia della salute del nostro pianeta.
Il brand, creato da Antonio Pignatiello e Giuseppe D’Urso, si basa sui concetti di riutilizzo e creatività, ponendosi l’obiettivo di creare moda in senso sostenibile. Il progetto dei due giovani imprenditori partenopei rispetta su piccola scala i principi dell’economia circolare, così contribuendo all’equilibrio del nostro ecosistema.
Je suis vintage propone collezioni green come alternativa responsabile alla fast fashion, mantenendosi sempre al passo con le nuove tendenze. I pezzi, unici ed esclusivi, dallo stile contemporaneo ma dall’anima vintage, vengono infatti realizzati scegliendo accuratamente tessuti e accessori, affinchè il prodotto finale sia sempre alla moda.
Chi sono Antonio Pignatiello e Giuseppe D’Urso? Quali sono le vostre origini e qual è stato il vostro percorso di formazione?
Io e Antonio siamo due ragazzi nati nella provincia di Napoli, a Somma Vesuviana. Ci siamo conosciuti alle superiori e poi abbiamo consolidato la nostra amicizia durante il percorso comune all’ Università Parthenope dove ci siamo laureati in Ingegneria Gestionale.
Quando e com’è nato il brand Je suis vintage? Come mai la scelta di questo nome?
Nel 2016, dopo aver visitato il mercato di Resina ad Ercolano, abbiamo iniziato a ragionare sull’importanza di dare anche noi il nostro piccolo contributo per il futuro del pianeta. Ci siamo così appoggiati ad un’app “svuota armadio”, Depop, marketplace per la compravendita di vestiti vintage. Abbiamo quindi aperto le nostre pagine social, Facebook e Instagram, ed investito i nostri primi 180 euro acquistando giubbini in renna, jeans Levi’s vintage e alcune camicie. Da questo primo passo ha preso vita Je suis vintage. Il nome è nato dal desiderio di approfondire il concetto di vintage, legandolo ad ogni singolo capo che custodisce una propria storia e, in quanto tale, è prezioso. L’idea del brand ha tratto origine da mesi di sperimentazioni nella customizzazione di capi recuperati. I primi successi sono legati ai giubbini che abbiamo foderato di eco-pelliccia e ai jeans rimodellati e arricchiti di dettagli fashion. Grazie ai nostri canali social, molti negozianti hanno iniziato a commissionarci piccole produzioni uniche: in breve tempo siamo passati dalla mia camera, trasformata per l’occasione in un piccolo laboratorio sartoriale, ad un laboratorio vero e proprio.
Qual è la vostra concezione del rapporto moda-sostenibilità e come si manifesta in concreto il vostro impegno a tutela dell’ambiente nell’ambito della vostra produzione?
Il brand è stato registrato nel 2019 e, da quel momento, ci siamo impegnati al massimo per trasmettere la nostra idea di moda, che consiste nel trasformare capi pronti a diventare rifiuti in nuovi modelli, riciclando anche gli scarti di lavorazione. In questo modo cerchiamo di ridurre al minimo l’impatto ambientale. Con i nostri prodotti, reintrodotti in un nuovo ciclo di vita e venduti in boutique, risparmiamo milioni di litri di acqua ogni anno e minimizziamo le emissioni di CO2 causate dai vari step produttivi.
Come riuscite a conciliare spirito green e nuove tendenze?
Creare nuovi abiti con capi vintage e scarti di lavorazione non è facile, ci vuole molta creatività e altrettanta ricerca, soprattutto se l’obiettivo è quello di realizzare collezioni rispettose delle linee guida che l’upcycling impone. Oltre al denim ci dedichiamo al riuso della pelle, scomponendo e reinventando giubbini, montoni e pellicce, dando loro nuova vita ed evitando che generino immondizia. Abbiamo smontato e customizzato abiti da uomo, trasformandoli in completi donna, mixati ora al demin ora al military. Per questa primavera-estate abbiamo lavorato all’upcycling dei foulard, che abbiamo trasformato in top e abitini patchwork. Oggi siamo molto impegnati nell’ ampliare la proposta, con l’obiettivo di arrivare ad una collezione costituita da capi vintage, second hand e mix di tessuti ricavati da fibre riciclate.
Quali sono le cifre stilistico-distintive dei vostri capi?
Esclusività e originalità. Cerchiamo di standardizzare le modellistiche per garantire alle clienti un’omogeneità di prodotto alla consegna, ma ogni singolo pezzo è unico, in quanto ciascuno trae origine dal mix di altri capi già esistenti, come per esempio la giacca militare che si fonde con il giubbino jeans o il completo gessato rimodellato per la donna con inserti in denim. Nessuna cliente acquisterà un giubbotto o un jeans uguale a quello di un’altra e questo attribuisce ancora più valore al nostro prodotto.
A quale pubblico vi rivolgete?
La collezione è pensata per una donna giovane e attenta alle tendenze ma, al tempo stesso, sensibile al tema ambientale e alla sostenibilità. Il nostro prodotto è venduto sia online che in boutique in tutta Italia. È posizionato accanto a brand di alta gamma e questo ci rende particolarmente orgogliosi. Il nostro piccolo progetto rappresenta infatti un’alternativa sostenibile al fashion tradizionale.
Progetti e sogni per il futuro di Je suis vintage?
Ci auguriamo che il nostro brand diventi un riferimento a livello nazionale e internazionale per la moda sostenibile. Stiamo lavorando sull’internazionalizzazione ma, al tempo stesso, continuiamo ad investire internamente in know how sul nostro laboratorio, che rappresenta un vero e proprio esempio di artigianalità ed etica.