GUERRA ED ECONOMIA

Un punto sugli scenari energetici post conflitto

L’imperativo sarà diversificare il più possibile le fonti di approvvigionamento energetico, per evitare altre situazioni simili a quella attuale con il gas Russo

di Dario Donato

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È l’unica sanzione che l’Europa ha congelato per non correre il rischio che poi al freddo rimanessero un centinaio di milioni di cittadini dell’Unione. Il gas russo continua a scorrere nei condotti che dal Cremlino riforniscono Bruxelles e a cascata il nostro Paese.

Secondo i dati Eurostat sulle importazioni nel 2020 rispetto al totale del gas importato in tutta l’Unione Europea, il 38,1% proveniva dalla Russia. Una vera e propria dipendenza che diventa schiavitù energetica nel caso della Germania, con il suo 65,2% del totale. O un legame a doppio filo con l’Italia, che ne importa il 43,3%. La Commissione Europea, con il piano “REPower EU”, presentato a conflitto in corso, punta a tagliare i due terzi delle forniture russe già entro la fine del 2022. La strategia si basa sulla diversificazione degli approvvigionamenti, grazie all’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto e via gasdotto da fornitori non russi e all’aumento dei volumi di produzione e di importazione di biometano e idrogeno rinnovabile.

Gli Stati Uniti nei giorni scorsi hanno avanzato una candidatura forte, accolta dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Potrebbero trasportare verso il Vecchio Continente fino a 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi di GNL, ovvero gas liquido da lavorare all’interno di rigassificatori. Volumi in grado di coprire circa un terzo dell’obiettivo di rimpiazzare 50 miliardi di metri cubi di gas naturale russo entro l’anno. Ma oltre all’esigenza si pongono questioni ambientali. Il gas statunitense viene principalmente estratto da rocce argillose o porose a qualche chilometro di profondità, attraverso una pratica chiamata “fracking” o “fratturazione idraulica”, che consiste nello sparare sottoterra ad altissima pressione un fluido fatto di acqua e additivi chimici che rompe le rocce e libera il petrolio o il gas naturale che a quel punto può essere riportato in superficie. Metodo criticato. Diversi studi sono arrivati alla conclusione che il fracking potrebbe contaminare le falde acquifere e generare eventi sismici. In diversi Paesi europei, Italia compresa, è tecnica vietata. Il prezzo finale, tra l’altro, è di solito più elevato e ai costi di trasporto marittimo vanno aggiunti poi quelli di rigassificazione in loco.

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Per questo l’Italia e l’Europa guardano anche altrove. Il nostro Paese in particolare all’Algeria, a cui siamo collegati da quasi quarant’anni tramite il gasdotto Transmed che arriva a Mazara del Vallo, e l’Azerbaigian che ci rifornisce tramite il TAP, la condotta che si ricollega a Melendugno, vicino a Lecce. Ma esistono legami anche con Qatar e Congo.

La parola chiave, in definitiva, è diversificare il più possibile le fonti di approvvigionamento per evitare quello che oggi si osserva sul gas proveniente da Mosca.