Mario Draghi tira dritto sull'aumento delle spese militari al 2% del Pil nel rispetto degli impegni Nato e ottiene il sostegno di Mattarella dopo un colloquio al Quirinale. Sfumata la possibilità di un accordo tra i partiti di maggioranza, in commissione il governo ha accolto l'ordine del giorno di FdI sul raggiungimento della soglia prevista dall’Alleanza atlantica per la difesa. Scelta giudicata “inaccettabile” dai parlamentari M5s. Conte: "No corse al riarmo, non faremo passi indietro".
Conte: "Noi guardiamo agli interessi del Paese" - "Questa è la posizione del M5s, è la posizione che guarda all'interesse del Paese e ai bisogni dei cittadini. Non intendiamo fare passi indietro", scrive su Facebook Giuseppe Conte rilanciando un post del movimento. "E' impensabile - dicono i pentastellati - una corsa al riarmo. E' fuori dalla realtà pensare di aumentare di almeno 12/15 miliardi la nostra spesa militare in due anni, l'impegno del 2% può essere centrato solo con una crescita di spesa progressiva, spalmata nei prossimi anni, ad esempio da qui a quantomeno il 2030".
Guerini: avanti con il 2% alla difesa - Nel dibattito interviene anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini: "Francamente uscirei da un dibattito approssimativo su cifre e date. L'impegno assunto in sede Nato nel 2014 e riconfermato da tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti da allora prevedeva il raggiungimento del 2% del Pil per le spese della Difesa entro il 2024. Fin dal momento in cui ho assunto la guida di questo dicastero e anche in questi giorni ho sempre indicato sia l'esigenza di rispettare l'obiettivo del 2%, sia la gradualità con cui raggiungerlo". E continua: "Dal 2019 a oggi abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà, se anche le prossime leggi di bilancio lo confermeranno, di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell'Unione europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento dell'obiettivo del 2%".
M5s: "Con Conte +1 miliardo, con Draghi +6 miliardi" - I pentastellati in una nota spiegano che, con i governi Conte, le spese per le armi sono aumentate di circa un miliardo l'anno, mentre se resta l'obiettivo del 2024 con Draghi l'aumento sarà di sei miliardi l'anno. E chiariscono: "E' curiosa e davvero straordinaria la dovizia di particolari con cui 'fonti di Palazzo Chigi' hanno ricostruito la spesa militare italiana. La stessa meticolosità andrebbe usata per dare notizia del previsto incremento delle spese militari per gli anni 2023 e 2024, che rappresentano il fulco del confronto di questi giorni".
L'incontro Draghi-Conte - Prima dell’incontro con il Capo dello Stato, Draghi aveva parlato con Giuseppe Conte. Un’ora e mezza di colloquio - molto teso secondo quanto si racconta - durante il quale Draghi avrebbe sottolineato che non ci si può sottrarre agli impegni con la Nato, pena il far venir meno il patto che tiene in piedi la maggioranza. Dal canto suo, il presidente pentastellato chiarisce di non aver sollevato “alcuna crisi di governo: dico solo che se dobbiamo programmare una spesa militare un partito di maggioranza può discutere i termini anche temporali per rispettare questo impegno”, ha spiegato.
“Ho rappresentato a Draghi la preoccupazione del Movimento 5 stelle e anche di una parte del Paese" per l'aumento della spesa militare, ha aggiunto Conte, "non si sa dove si troveranno questi miliardi. La collocazione euro-atlantica non verrà mai messa in discussione, ma ci sono molti altri paesi” che ancora non ottemperano alle soglie previste dalla Nato. E quindi arriva l'avvertimento: "Nel Def non ci siano fughe in avanti". Uno scoglio al momento lontano, in quanto il Documento di economia e finanza, inizialmente previsto in Consiglio dei ministri giovedì, arriverà sul tavolo di Palazzo Chigi solo il 5 o il 6 aprile, dopo la messa a punto del ministero dell'Economia e della ragioneria di Stato.
Parallelamente, la discussione è accesa anche sul finanziamento degli aiuti all’Ucraina. Il Senato è pronto a votare la conversione in legge dell’ultimo decreto, sul quale il governo sarebbe intenzionato a porre la questione di fiducia per blindare il provvedimento ed evitare attriti interni alla maggioranza simili a quelli che si sono presentati in commissione.