Oltre a grano e mais c’è di più. La dipendenza italiana ed europea da materie prime provenienti da Russia e Ucraina si allarga a prodotti altrettanto importanti per l’agricoltura, come i fertilizzanti.
La Russia ne è infatti il primo esportatore al mondo, con 50 milioni di tonnellate prodotte ogni anno, il 13% della produzione totale e un giro d’affari che nel 2020 si è attestato intorno ai 7 miliardi di dollari. Il blocco alle esportazioni seguito al conflitto sta già generando effetti di ricaduta su prezzi e offerta sui mercati, che dall’inizio della guerra sono aumentati attorno al 40%.
Crollo delle forniture e aumento dei prezzi sono destinati ad avere ripercussioni importanti per gli agricoltori nelle settimane della stagione di semina per le colture primaverili di mais, sorgo e soia o della fase di concimazione per i cereali autunnali come il grano, di cui Kiev è tra i primi esportatori globali.
Ma i primi segnali erano arrivati a inizio febbraio, prima dello scoppio del conflitto, quando la Russia ha deciso lo stop per due mesi all’export di nitrato di ammonio e provocato una fiammata sui prezzi già doppi rispetto all’estate del 2020. Tanto da aver indotto in molte parti del mondo all’abbandono delle colture intensive di mais perché non più economiche. In Brasile ad esempio, primo importatore globale di nitrato d’ammonio da Mosca e secondo esportatore mondiale di mais in una catena causa-effetto evidente, ma con conseguenze ancora tutte da scoprire. Nel 2021 la Federazione è diventata il principale esportatore mondiale di fertilizzanti azotati e il secondo più grande fornitore di fertilizzanti al potassio e fosforo. 25 Paesi mondiali acquistano questi agenti chimici, con una dipendenza dalle importazioni del 30% superiore. Mentre molti Paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale vanno oltre il 50% dei fertilizzanti russi per tutti e tre gli ingredienti. Senza questi elementi, sostanzialmente, le piante non crescono.
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Gli effetti che avrà la guerra sulla produzione globale di cibo si vedranno concretamente nei prossimi mesi. Ma l’impatto potrebbe essere devastante in molti Paesi a basso o medio reddito.
Un solo anno di pandemia nel 2020 ha visto aumentare dall’8,4% al 10,4% la percentuale della popolazione globale che non ha accesso a una quantità sufficiente di cibo. Un aumento che corrisponde a circa 100 milioni di persone che non hanno accesso a pasti regolari. Secondo un recente studio della FAO, il conflitto Russia-Ucraina potrebbe aumentare i prezzi di alimenti primari come grano, mais, semi e olio di girasole di una percentuale compresa tra l’8 e i 22%. Nello scenario migliore il numero di persone mal nutrite nel mondo potrebbe aumentare di 7.600.000 individui entro il 2023. Nel peggiore, di 13 milioni.