il ricordo

Alda Merini, "pazza della porta accanto"

Tra passione e vitalità, la sua pazzia era qualcosa che andava oltre i ricoveri negli ospedali psichiatrici che ha vissuto e raccontato

di Domenico Catagnano

Il ricordo personale legato ad Alda Merini risale a oltre dieci anni fa. La poetessa era ospite della redazione "Scarp de' tenis", la rivista dei senzadimora di Milano, per ricevere un premio. A un certo punto chiede di fumare. Prontamente accontentata, spezza il filtro della sigaretta che le era stata offerta, la porta alla bocca, la accende e se la gode neanche fosse una "Nazionale" del tempo che fu. Qualcuno le fa notare che così le fa più male. Lei prima lo fissa severa e poi scoppia in una gran risata. "A me piace fumare così", dice poi con semplicità e schiettezza, perché lei era così, semplice e schietta.

Una grande donna, Alda, alla quale la vita di ogni giorno ha sicuramente dato meno di quello che si meritava. Ma la vita che lei ha raccontato, quella passata per le sue parole e i suoi versi, era tutta un'altra cosa. Amava definirsi pazza, la "pazza della porta accanto", e la sua pazzia era qualcosa che andava oltre i ricoveri negli ospedali psichiatrici che ha vissuto e raccontato.

La sua era una pazzia di libertà, di parole e sentimenti. Una pazzia che calata nell'amore diventava passione, ora alta e viva, ora struggente e malinconica. "Ti aspetto e ogni giorno mi spengo poco per volta/e ho dimenticato il tuo volto./Mi chiedono se la mia disperazione sia pari alla tua assenza/no, è qualcosa di più:/è un gesto di morte fissa/che non ti so regalare", scriveva la Merini. O ancora "Torna amore vela delicata e libera/ che occupi il pensiero della mia terra/ sto morendo sulla grandiosità di un fiume/che è rosso di desiderio/ e vorrebbe travolgere il tuo amore".

Emozionano, le sue liriche, emozionano per la loro intensità e la loro forza. Emozionano per quel suo modo di intendere la poesia, qualcosa di simile a una missione di riscatto per gli esclusi, per quelli che desiderano, che cercano e non si rassegnano.

La sua poetica si può racchiudere in queste parole: "Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi".

Aveva scelto di vivere ai margini, la Merini, e ai margini invecchiava e osservava una realtà che non amava. "Si è persa la favola, nessuno scrive più lettere alle fidanzate, gli italiani sono sempre più cretini, malati di padreternismo", diceva in un'intervista recente.

"Mi chiedo come mai la vita si risveglia ogni mattina quando io avrei giurato a tutti che sarei morta ieri sera", scriveva giusto pochi giorni fa con struggente lucidità. La morte ha tragicamente vinto e accontentato il suo corpo. Contro la vitalità dei suoi versi, però, uscirà sempre perdente.