Dieci anni dopo il processo e le condanne

E sullo scenario della guerra riecco le Pussy Riot: Nadia raccoglie bitcoin per l'Ucraina, Masha "colleziona" settimane di carcerazione

Due delle esponenti del collettivo punk rock russo femminista contro Putin, nel 2012 sotto i riflettori per il lungo processo e le dure condanne, tornano in prima linea nell'attivismo politico

di Gabriella Persiani

Erano diventate delle star internazionali per la loro lotta estrema, chiassosa e colorata a Putin e al putinismo e l'Occidente le aveva elette paladine della democrazia. Un successo che Nadia, Masha e Katya, membri delle Pussy Riot, collettivo punk rock russo femminista, pagarono con un lungo processo e con duri mesi di detenzione. I loro nomi, allora, erano sulla bocca di tutti. Le loro foto, dietro le sbarre, sulle prime pagine di tutto il mondo. Ma dieci anni dopo cosa ne è di loro? Allo scoppio dell'invasione russa dell'Ucraina, due delle tre, Nadia e Masha, sono di nuovo alla ribalta della cronaca per il loro attivismo politico e sociale. La prima ha raccolto in pochi giorni 7 milioni di dollari tramite un NFT della bandiera ucraina. Masha, invece, dopo aver scontato 15 giorni di detenzione per "disobbedienza alla legittima richiesta della polizia", all'udienza del 14 marzo ha ottenuto altre due settimane in carcere. Ha portato con lei in tribunale una sciarpa verde, colore dell'opposizione alla guerra in Ucraina.

Dieci anni fa l'esibizione-shock - Da tempo nel mirino dei tribunali russi per le pubbliche uscite provocatorie contro la morale e la religione, nel marzo 2012 tre delle Pussy Riot furono arrestate con l'accusa di "teppismo e istigazione all'odio religioso" per aver messo in scena, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, nel cuore di Mosca, un'esibizione non autorizzata contro Putin: una preghiera punk. Era il 3 marzo 2012: ad essere individuate a seguito di operazioni d'indagine dell'antiterrorismo e accusate di teppismo furono Nadezda Tolokonnikova (per tutti Nadia, 22 anni) e Marija Alechina (Masha, 23). Il 16 marzo 2012 fu arrestata anche Ekaterina Samucevic (Katya, 29 anni).

Manette ai polsi, sulle loro teste scoperte una volta per tutte dai passamontagna colorati e con i loro volti di pubblico dominio, incombeva una sentenza severa, fino a sette anni di detenzione, secondo le leggi russe di allora. Contro di loro arrivò anche la dura condanna del patriarca Kirill. Le giovani, dapprima, negavano l'appartenenza alle Pussy Riot e fecero uno sciopero della fame per protesta contro il regime di detenzione, che durò quattro mesi, prima dell'avvio del processo, a giugno. Il 17 agosto 2012 la sentenza: le tre furono dichiarate colpevoli e condannate a una pena minima di due anni di reclusione nelle colonie penali della Mordovia. Dal mondo occidentale arrivarono manifestazioni di solidarietà. Alzò la voce a loro favore anche l'allora cancelliera Angela Merkel.

Ma arrivò anche il colpo di scena: il 19 dicembre 2013, per il 20esimo anniversario della Costituzione russa, la Duma, nonostante la contrarietà di Putin, concesse l'amnistia per Masha e Nadia e per altri 25mila detenuti.

La guerra in Ucraina e il nuovo fronte delle attiviste - Cantanti e artiste, Nadia e Masha hanno continuato le loro battaglie via social. E non si sono tirare indietro allo scoppio della guerra in Ucraina. Così Nadia, con Trippy Labs e alcuni membri del collettivo online PleasrDAO, ha creato UkraineDAO, che, tramite un NFT della bandiera ucraina, già al 3 marzo aveva raccolto 7,1 milioni di dollari in criptovaluta da devolvere al popolo ucraino. E l'asta speciale sulla piattaforma PartyBid è tuttora attiva.

Masha, invece, da sempre vicina all'oppositore Alexey Navalny, era stata fermata a Mosca, lo scorso 27 febbraio, da tre uomini in borghese, mentre viaggiava su un taxi. Lo aveva riferito al sito Meduza un altro esponente delle Pussy Riot, Alexander Sofeev. Durante l'arresto nel dipartimento di polizia di Khamovniki, il telefono e i suoi effetti personali le erano stati sequestrati. Con l'accusa dell'articolo 19.3 del Codice amministrativo della Federazione Russa (disobbedienza alla legittima richiesta della polizia), dopo 15 giorni di detenzione, il 14 marzo, se ne attendeva il suo rilascio, ma la ormai 35enne, condotta in tribunale, si è vista dare altri 15 giorni di detenzione. Al braccio aveva una sciarpa verde che richiamava il nastro verde della protesta della popolazione russa contro la guerra in Ucraina, come è stato possibile notare in un video pubblicato sulla sua pagina Twitter. Riprese subito bloccate dall'intervento della poliziotta che la scortava.