Qui prodest? A chi giova la crisi dei microchip? Probabilmente a nessuno, risponderemmo in coro tutti, chi li produce e chi li compra avrebbe difficoltà, ma è arcinoto ormai che i cattivi pensieri sono sì peccato ma ci azzeccano spesso. Il punto è che il settore dei micro-processori è strategico e non più soltanto industriale, i microchip che servono nei prodotti elettronici e nelle auto sempre più elettrificate hanno una valenza strategica che va al di là della loro dimensione industriale.
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La Cina e lʼAsia in genere (Taiwan è il Paese leader, poi Corea del Sud) producono semiprocessori per tutti, e sempre la Cina va a caccia di minerali come il silicio e terre rare che servono a fabbricarli. Quando però scoppia una crisi ‒ epidemia, guerra ‒ produzione e commercio vanno in tilt e farli arrivare alle imprese diventa un problema. Il ritardo nelle forniture di chip alle aziende di tutto il mondo è alla base della tardiva consegna di prodotti finiti al mercato. Ne hanno fatto le spese automobili, batterie, smartphone, apparecchiature mediche, sistemi di comunicazione, ecc. Una storiaccia che va avanti da due anni!
Pressati dalle ansie dei costruttori auto, famelici divoratori di microprocessori, i politici di tutta Europa conoscono il problema e da noi il ministro Giorgetti ha avanzato lʼidea di aprire un fondo per il settore. Non basta il fondo a sostegno dellʼauto, serve quello per i microchip, sperando che nel frattempo aziende grandi e piccole investano per avviarne la produzione, riducendo la dipendenza dalle forniture asiatiche. Un poʼ come il gas dalla Russia. Soltanto che le risorse energetiche, se non le hai, non puoi far altro che comprarle da chi le ha, mentre le risorse industriali le puoi stabilire, insediare e investirci su (pubblico e privato).
Di strategia parla anche lʼAniasa, il settore dellʼautonoleggio in Italia, che lancia lʼallarme sui “chip”. Le società di noleggio a breve termine, infatti, non riescono più ad acquistare auto nuove perché dai costruttori arrivano col contagocce. “Il paradosso ‒ spiega Giuseppe Benincasa, Direttore Generale Aniasa ‒ è che il settore, già duramente colpito dalla pandemia (-50% dei noleggi nel 2021 sul 2019), si trova ora alla vigilia della stagione turistica con una flotta assai meno numerosa di quanto ci si potesse attendere. Si rischia di non poter accontentare tutte le richieste dei turisti”.
Lʼempasse è totale, il ciclo di vita di unʼauto a noleggio ha superato la media di 8/10 mesi della pre-pandemia. “Senza un cambio di strategia da parte dei costruttori europei ‒ continua Benincasa ‒ le imprese di noleggio saranno costrette ad aprire fortemente ai costruttori cinesi. Un trend che, una volta avviato, sarà difficilmente reversibile”. Come già con il covid, abbiamo così unʼaltra idea, una suggestione più che altro, su chi trarrà vantaggio dalle attuali crisi globali (non ultima la guerra in Ucraina). La domanda iniziale sul “qui prodest” delle crisi trova allora un indiziato, forse pure recidivo…