Un'isola deserta, un castello misterioso privo di specchi e un vecchio capitano che vi tiene "prigioniera" una fanciulla dal volto sfigurato. Benvenuti nell'inquietante mondo di "Mercurio" di Amelie Nothomb. A portare in scena la favola dark, firmata dalla scrittrice belga, è Corrado D'Elia, che debutta al Teatro Litta di Milano l'8 marzo (fino al 20) in un nuovo allestimento del romanzo, visionario, sorprendente e appassionante racconto, che indaga i meandri profondi e disperati dell'amore e si spinge alla ricerca estrema della bellezza.
"...quando si ama veramente qualcuno non ci si può impedire di fargli del male...", scrive la Nothomb, abile nello scrutare tra le pieghe più nascoste dei sentimenti umani, dei pensieri più oscuri, più torbidi, negli abissi della coscienza.
E "Mercurio" è proprio questo, una riflessione lucida e impietosa sull'amore, sulle crudeltà inflitte o accettate, i ricatti affettivi e le false promesse che danno vita alle relazioni. Siamo tutti vittime e carnefici, prigionieri di noi stessi e delle nostre debolezze, prime fra tutte l'amore.
Ed è quello che succede tra il capitano Homer Loncours e la sua pupilla Hazel, che vivono in una dimensione lontana dal resto del mondo. La donna è stata salvata da un incendio rimanendo sfigurata. Da allora, l’uomo si prende cura di lei morbosamente, proteggendola e rinchiudendola in una prigione dorata carica di segreti e perversioni, dove non ci sono specchi nè superfici che possano riflettere il suo volto. Assume anche l’infermiera Françoise per curare la giovane che si sente afflitta da una serie di malattie, generate più che altro dall’infelicità per la propria deformità e dai sensi di colpa per quel rapporto che la inquieta.
Hazel potrebbe scappare se volesse, ma non lo fa. Così come non vuole guardarsi allo specchio. E se non fosse quella che crede di essere? Se fosse solo quella in cui l'amore possessivo del Capitano l'ha trasformata? E' lui davvero a muovere i fili? E' davvero lui il solo carnefice? Amare fa davvero così male?
Così nel finale, (anzi nei finali perché la scrittrice ne ha ideati addirittura due), che si propone complesso e sorprendente come è nello stile di Amelie Nothomb, i ruoli finiscono per scambiarsi, come in ogni vero rapporto umano, e gli scenari iniziano a complicarsi, trascinando lo spettatore da una conclusione all’altra, confondendo l’immagine di personaggi che passano quasi distrattamente dall’essere vittime all’essere carnefici e viceversa.
Perchè la domanda che ci si pone è proprio questa: chi è la vittima e chi il carnefice? Forse giochiamo tutti, sempre, entrambi i ruoli, basta riconoscerlo. E in "Mercurio" si ha a che fare proprio con questo gioco perverso, dove nulla davvero è come appare, come nella vita del resto, un labirinto da cui si potrebbe uscire ma nessuno esce mai.
E Mercurio? Mercurio è l'elemento chimico, che Francoise raccoglie di nascosto in un catino, giorno dopo giorno, rompendo un termometro ad ogni visita ad Hazel, nell'illusione di poter creare una superficie riflettente e mostrare alla giovane donna la sua vera identità. Ma è anche il messaggero degli Dei, dio dell'eloquenza, ma anche protettore dell'inganno e portatore dei sogni.