Dal sogno all’incubo può volerci un attimo e anche un paradiso può trasformarsi in una discarica a cielo aperto. Sta succedendo in Sri Lanka, dove camminando in riva al mare facilmente si possono scorgere tra la sabbia dorata anche dei granelli di plastica.
Da mesi ormai, le spiagge della costa occidentale sono ricoperte da piccoli detriti, la traccia di un disastro risalente all’anno scorso. Era maggio quando la porta-container X-Press Pearl ha preso fuoco a largo dello Sri Lanka per poi colare a picco rilasciando nell’Oceano Indiano 1.680 tonnellate di pellet in materiale plastico. Le Nazioni Unite hanno definito l’incidente come “il più grande sversamento di plastica mai avvenuto” e non stupisce che i suoi effetti siano visibili ancora oggi.
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Subito dopo l’accaduto l’Autorità per la protezione dell’ambiente marino si è mobilitata per ripulire l’area, coinvolgendo 50mila persone nella raccolta dei rifiuti, ma questo evidentemente non è bastato. Finita la pulizia superficiale, sotto la sabbia sono rimasti i residui di plastica più piccoli, anche a due metri di profondità. Per rimuoverli è necessaria un’operazione complessa e macchinari costosi, cosa che rende difficile l’attuazione del piano.
A pagare un conto salatissimo non è solo l’ambiente, ma anche l’economia di un Paese che fa del turismo e della pesca i suoi settori principali. Quello ittico, in particolare, è stato coinvolto in modo più pesante. Subito dopo il disastro i pescatori non hanno potuto svolgere la propria attività e hanno ricevuto un indennizzo. Il problema però resta, perché non si tiene conto dei rischi che ancora comporta lavorare in acque contaminate.
Ancora una dimostrazione della pericolosità dell’impatto della plastica sull’ambiente e della necessità di prendere provvedimenti che ne prevengano la dispersione.