Chi intasca denaro per fornire un posto di lavoro lo deve restituire nel caso in cui il "pagatore" si rivolga alla giustizia denunciando di non aver avuto quel posto. Lo ha deciso la Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso contro la Corte d'appello, che aveva disposto di restituire ad alcuni genitori il denaro versato per un posto di lavoro: tale opportunità non si era però realizzata e allora i genitori si erano rivolti ai magstrati.
I giudici dell'Appello, scrive il "Sole 24 Ore", avevano sì dichiarato che l'accordo violava l'ordine pubblico e tuttavia avevano deciso che tale vicenda non poteva essere legata all'articolo 2035 secondo cui non si ha diritto alla ripetizione delle somme incassate in caso di prestazioni che non rientrano nel "buon costume". Tale norma era proprio "perfetta" per i ricorrenti, che invocavano appunto l'applicazione di tale norma. La causa che stava alla base del contratto era illecita, dicevano i ricorrenti perché violava l'ordine pubblico e dunque il patto andava di fatto cancellato con l'applicazione dell'articolo 2035 sia per i genitori che avevano sborsato denaro per il lavoro sia per chi quel denaro l'aveva incassato.