Italiani popolo di umanisti, con buona pace di Cingolani. Il ministro per la Transizione Ecologica, infatti, ha recentemente "denunciato" il fatto che nel nostro Paese c'è troppo poco spazio per le discipline tecniche, mentre ad esempio si ripetono più e più volte gli stessi argomenti di storia. Tanti di noi hanno, infatti, decisamente più interesse per le guerre puniche che per formule ed esperimenti.
O forse, neanche per quello, purtroppo. Perché l’ideale sarebbe poter parlare di una società istruita, capace di utilizzare le nozioni e gli strumenti della cultura umanistica per poter crescere cittadini consapevoli, ma che sappia allo stesso tempo approfondire la cultura scientifica e tecnica, per dare slancio a quello sviluppo tecnologico che ci guiderà verso un mondo più sostenibile. Ma l’ottimo è sempre lontano dalla realtà, ancora di più per quanto riguarda l’Italia. A dirlo è il Censis nel 55° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2021. Sulla nostra nazione soffia un vento di “irrazionalità”, dice l’istituto di ricerca. E purtroppo le notizie non sono incoraggianti.
Le scienze spaventano
Perché - come sottolinea il portale Skuola.net, riassumendo i dati principali del Rapporto - se in media è il 33% degli europei a nutrire molto interesse per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico, la percentuale degli italiani che hanno la stessa attenzione su questi argomenti, di vitale importanza per il nostro domani, è davvero risicata: solo il 13%. La scienza e la tecnologia sono argomenti a cui il 31% dei nostri connazionali (quasi 1 su 3 ) riserva totale indifferenza (in Europa, la percentuale si ferma al 18%). Vero è che ciò che non si comprende, tendenzialmente, spaventa, o per lo meno si tiene lontano dalla propria “sfera”. Nel nostro caso, però, non si fa nulla per rimediare: il 58% degli italiani, la maggioranza, concorda infatti con l’affermazione “la scienza è così complicata che non ne capisco molto”, mostrando un pensiero per lo meno evitante. Un dato decisamente più alto rispetto a quel 46% degli europei che manifesta lo stesso atteggiamento.
Dati che fanno riflettere, soprattutto se a ciò si aggiunge qualche nota di colore (nero). Come per esempio il fatto che per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici, o che il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento sofisticato per controllare le menti delle persone. O ancora, che il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e che il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.
Discipline Stem ancora troppo snobbate
Se l’opinione di molti, nel nostro Paese, è quella appena illustrata, non ci si deve forse stupire se quella dei giovani non si discosti poi di molto. Nell’anno accademico 2020-2021, su poco meno di 1,8 milioni di studenti universitari iscritti a un corso di laurea, solo il 27,1% frequenta un corso di studi Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Tra questi aspiranti scienziati, poi, va ancora una volta osservato il “gender gap”: le donne sono solo il 37,1% degli oltre 480.000 iscritti Stem. Eppure, nei nostri atenei, le ragazze sono la maggioranza, con una quota pari al 56,3%. La questione di genere, insomma, non appare in alcun modo superata, per cui nel nostro Paese - oltre a una disaffezione generale per ciò che riguarda il mondo scientifico - sembra rimanere questa atavica distinzione tra “cose per uomini” e “cose per donne”.
La stessa offerta universitaria, però, presenta larghi margini per un potenziamento. Perché ad oggi i corsi di laurea STEM rappresentano solo il 34,6% del totale. Qualcosa di più troviamo nelle rispettive offerte regionali in Basilicata (47,4%), Calabria (43,0%), Liguria (41,7%) e Friuli Venezia Giulia (41,4%). Tuttavia, in termini assoluti, le regioni nelle quali si concentra la maggior parte dell’offerta sono la Lombardia (14,6%), il Lazio (14,1%) e l’Emilia Romagna (9,2%), che lasciano distante il Sud.
ITS in controtendenza
Si apre tuttavia una nicchia, rappresentata da quella parte di giovani italiani che, invece, stanno puntando sulla formazione tecnica parallela all’università. Un percorso, va detto, molto diverso da quello che porta alla laurea e, rispetto al quale si presenta decisamente più pratico e laboratoriale, e molto specializzata: si tratta degli ITS, la formazione alternativa all’università altamente professionalizzante, con tassi di occupazione dei diplomati che superano l’80% (a un anno dal titolo). Gli Istituti Tecnici Superiori, infatti, in Italia stanno crescendo parecchio: tra il 2013 e il 2019 i corsi sono aumentati da 63 a 201 (+219,0%) - concentrati, però, soprattutto nelle tre regioni più sviluppate a livello imprenditoriale: Lombardia (19,3%), Veneto (14,6%) ed Emilia Romagna (10,4%) - e i diplomati si sono triplicati, passando da 1.098 a 3.761.
Certo, si tratta di un numero irrisorio se lo confrontiamo a quello, ad esempio, dei laureati triennali, ad oggi più di 190.000. Ma sono dati che ci dicono che qualcosa si muove. Lecito chiedersi, però, se ci si sta spostando nella direzione giusta per raggiungere quell’ideale di un Paese istruito, che sappia conciliare scienza e lettere. Una strada che sembra, al momento, tutt’altro che in discesa.