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Censis, cresce onda di irrazionalità: "Per 3 milioni il Covid non esiste, il 5,8% degli italiani sono terrapiattisti"

Secondo il rapporto, con la pandemia "si osserva una crescita di teorie infondate e speculazioni complottiste". Effetti importanti anche su giovani e donne, mentre sono in aumento le iniziative di solidarietà e volontariato 

Secondo il 55esimo Rapporto Censis sulla situazione del Paese è sempre più diffusa l'ondata di irrazionalità che ha infiltrato il tessuto sociale. "Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile". Ma non finisce qui: c'è un 5,8% che è convinto che la Terra sia piatta e un 10% sicuro che l'uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.

Gli italiani e l’irrazionale - Durante la pandemia la teorie cospirazionistiche hanno fatto il boom. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. 

Gli investimenti sociali - Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato: è il segno di una corsa percepita verso il basso. Questo determina un circolo vizioso: bassa crescita economica, quindi ridotti ritorni in termini di gettito fiscale, conseguentemente l’innesco della spirale del debito pubblico e una diffusa insoddisfazione sociale. L’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. 

Famiglie, nascite e patrimonio: cosa cambia - Solo il 15,2% degli italiani ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà. Nell’ultimo decennio (2010-2020) il conto patrimoniale degli italiani si è ridotto del 5,3%. Anche sul lato consumo si notano dei cambiamenti. In Italia il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si è progressivamente ridotto nel tempo. Nel primo decennio del nuovo millennio si è attestato su un +0,2% e poi l’anno della pandemia ha trascinato in negativo la media decennale: -1,2%. Questo contesto influenza anche le nascite. Tra il 2015 e il 2020 si è verificata una contrazione del 16,8% delle nascite. L'Italia ha il valore dei nuovi nati più basso di tutti i Paesi dell'Unione europea.

Complotto contro il lavoro - Quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Sono 6,5 milioni nella classe di età 15-64 anni, di cui 500.000 non hanno titoli di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. La quota dei diplomati scende al 46,7% e quella dei laureati al 24,0%. Si rileva inoltre un numero rilevante di laureati e offerte di lavoro non orientate a inserire persone con livelli di istruzione elevati, indebolendo così la motivazione a fare investimenti. 

Le donne - A giugno 2021, nonostante il rimbalzo dell’economia del primo semestre, le donne occupate hanno continuato a diminuire. Durante la pandemia 421.000 donne hanno perso o non hanno trovato lavoro. Da questo punto di vista, l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei, guidati dalla Svezia, dove il tasso di attività femminile è pari all’80,3%. La pandemia ha comportato un surplus di difficoltà nella gestione in casa il carico figli-lavoro. Il 52,9% delle donne occupate dichiara che durante l’emergenza sanitaria si è dovuto sobbarcare un carico aggiuntivo di stress, fatica e impegno e solo per l’8,1% è migliorata.

I giovani alle prese con la pandemia - Dal punto di vista psicologico, il prolungato periodo di pandemia ha provocato effetti collaterali non indifferenti. L'81,0% dei 572 dirigenti scolastici di scuola secondaria di secondo grado intervistati dal Censis segnala che tra gli studenti sono sempre più diffuse forme di depressione e disagio esistenziale. Essi sono sottoposti a continui stimoli e informazioni, di cui non riescono a operare una selezione (78,3%). Dopo quasi due anni di pandemia, le certezze rispetto al proprio futuro hanno subito un duro colpo e per il 46,6%. Anche sul versante lavorativo, il 74,1% dei giovani di 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia. I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale: nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente.

Lati positivi: la riscoperta della solidarietà - Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali. Quasi un terzo di coloro che si sono attivati ha svolto in prima persona attività gratuita in associazioni di volontariato impegnate nella lotta al Covid.

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