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Griglie nere e rettangoli colorati: l'arte di Piet Mondrian al Mudec

A Milano la mostra "Piet Mondrian e il paesaggio olandese", visitabile fino al 27 marzo

Milano, l'arte di Piet Mondrian al Mudec

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Racconta Michel Seuphor, amico e primo biografo di Mondrian (1872-1944), che Piet nel suo studio teneva un unico fiore, artificiale. È uno dei tanti aneddoti che colorano le vite dei grandi dell'arte, ma è comunque un segno rappresentativo della sua pittura, tutta tesa nel superamento dell'aspetto naturale delle cose: "La natura è un maledetto brutto affare. Io la sopporto a stento", ha scritto. Il suo astrattismo, che affonda le radici nella teosofia, è infatti da leggere come il desiderio di cogliere una realtà, più segreta e più vera, che sta oltre il visibile.

Dai paesaggi con i caratteristici tratti della natia Olanda, prevalenti nella prima fase della sua carriera, Mondrian andrà via via a togliere peso, volume e consistenza alle cose, e le organizzerà in linee e trame che, passando dal fauve al cubismo, lo porteranno alla geometria più ortodossa. Un'evoluzione che è ben visibile nelle opere che il Mudec di Milano ha raccolto in una mostra (visitabile fino al 27 marzo 2022) proprio con quest'intento.

Visivamente il filo conduttore di quest'evoluzione è il paesaggio, ma la verità di questa pittura, così parsimoniosa di forme e di colori, ha radici che affondano nella tragedia. Nell’ottobre del 1917, mentre l’Europa è dilaniata dalla guerra e in Russia infuria la rivoluzione, Mondrian pubblica sul numero inaugurale della rivista De Stijl il primo di una serie di articoli in cui chiarisce la sua visione dell’arte e del mondo.

Lo scopo primario della vita e della nuova arte, scrive, è di eliminare la tragicità, che la guerra aveva acuito, rendendola ancora più evidente e insopportabile. In natura, afferma ancora l'artista, tutto è governato dalla lotta di princìpi eternamente contrapposti: individuale e universale, corpo e spirito, finito e infinito, bene e male. È da questi contrasti che si genera la tragedia, se non ci fossero andrebbe tutto molto meglio. Ed è per questo che l'arte deve tentare di ridimensionarli, deve cioè trovare il modo di stabilire un equilibrio fra loro.
 

Mondrian esprime quelle contrapposizioni dipingendo un incrocio ortogonale di rette, costruendo griglie i cui spazi generano un'equivalenza geometrica, un ritmo di forme quadrangolari dove i dualismi dell'essere vengono finalmente neutralizzati e ricondotti all’unità. Sono forme immateriali e rigorose, algoritmi pitagorici fatti di elementi essenziali, solo rette, quadrati e rettangoli, all’interno dei quali i colori sono stesi in campiture piatte, in timbri puri (blu, giallo e rosso) e in non-colori (bianco, nero, grigio).

La ricerca di equilibrio si concretizza dunque nell’armonia che elimina la tragedia, si fa "nuova forma" che nel 1920, quando l’artista tradurrà le sue idee in francese, diventerà "néo-plasticisme" (Neoplasticismo), termine con cui da allora la sua pittura viene etichettata. Al Neoplasticismo hanno aderito anche altri artisti (da Theo van Doesburg a Vantongerloo), architetti e designer, tra cui Gerrit Thomas Rietveld, che l'esposizione di Milano ricorda in una piccola sezione, a dimostrazione che l'arte ha saputo travasare quell’armonia nell’architettura e nell’ambiente a compimento dell'uomo nuovo.

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