Gaming, un giovane su tre è davanti ai videogiochi oltre 3 ore al giorno | E non è solo un passatempo
Gli appartenenti alla Gen Z si mostrano accaniti giocatori digitali: circa 1 su 10 arriva a entrare in questo mondo anche per un’intera giornata a settimana. Perché nel gaming i ragazzi trovano tante cose: 1 su 4 ci sfoga la rabbia, 1 su 5 ci cerca nuove amicizie. La ricerca dell'associazione Di.Te. e Skuola.net
“Non è solo un gioco”: una frase che può sembrare retorica ma che, al contrario, descrive perfettamente il mondo che si cela dietro il rapporto tra i ragazzi di oggi e i videogiochi. Perché, per la Generazione Z, il gaming - in particolare quello online - rappresenta tante cose: un modo per mettersi alla prova e cercare quei punti di riferimento che nella vita reale non riesce a trovare, un luogo di socialità, addirittura un regolatore del proprio stato emotivo. Ad esempio, tra i gamers abituali, oltre 1 su 4 utilizza il gioco come un antidoto per lenire la rabbia e per 3 su 10 rappresenta uno sprone a raggiungere degli obiettivi. Ma è anche uno strumento di socialità, visto che per quasi 1 su 5 è un modo per fare squadra con qualcuno, o di affermazione sociale, infatti il 6% degli intervistati arriva a interpretarlo come una gara finalizzata a dimostrarsi più bravi degli altri.
A mostrare questo universo così articolato è l’annuale ricerca condotta dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) assieme a Skuola.net, in occasione della Giornata Nazionale sulle Dipendenze tecnologiche e sul Cyberbullismo. Che per la quinta edizione (27 novembre 2021) ha scelto come filo conduttore proprio il tema del “Gaming”. Un’indagine - costruita grazie al contributo di 1.271 ragazze e ragazzi, di età compresa tra i 10 e i 25 anni - che verrà presentata nel corso di un evento che sarà possibile seguire online tramite il sito dipendenze.com e che scandaglierà il gioco in tutte le sue sfaccettature, con un focus proprio su quello online.
Quanto giocano gli Zedders?
Prima di entrare nel cuore della ricerca, però, è forse il caso di inquadrare le dimensioni del fenomeno. Decisamente notevoli. Dai dati, infatti, emerge che più di un terzo del campione (36%) gioca tra un’ora e tre ore al giorno, circa il 16% passa davanti allo schermo tra le 3 e le 5 ore, quasi il 7% ci sta tra le 5 e le 8 ore e un altro 7% ci passa più di 8 ore. Tra questi ultimi, in prevalenza troviamo ragazzi tra i 22 e i 25 anni. Più del 40%, inoltre, trascorre almeno un’ora al giorno a guardare altri che giocano.
È innegabile che i videogiochi siano da sempre “un modo per sperimentare parti di sé”, premette Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Nazionale Di.Te.. Ma, aggiunge l’esperto, “che il 7% del campione ci passi più di 8 ore è un dato che deve farci riflettere. I giovani adulti hanno smesso di immaginare un futuro, già da tempo, come è emerso da altre nostre ricerche, e che impieghino tutte quelle ore attaccati a un videogioco può anche voler dire che cerchino di autoisolarsi per non vivere appieno la socialità, preferendo quella mediata dal videogame, attraverso cui possono anche costruirsi un’immagine più simile a quella che vorrebbero avere”.
Anche gli altri però non scherzano affatto. Perché, allargando l’orizzonte temporale, ci si accorge che poco meno di 1 giovane su 10 passa ogni settimana almeno 24 ore, un intero giorno, a giocare ai videogiochi: “Un dato che ci dà un’idea di come il metaverso non sia una visione futura ma una realtà concreta per molti dei nostri ragazzi e ragazze. Perché a differenza di quanto pensi la maggior parte delle persone, la passione per il gaming non è solo maschile, anzi”, sottolinea Daniele Grassucci, co-founder di Skuola.net. Che aggiunge: “I cortili dei condomini si svuotano e si riempiono invece i server per il gioco online: per 1 giovane su 4 è consuetudine darsi appuntamento con la propria comitiva di gaming per giocare insieme. Ma si sta affermando anche un nuovo passatempo: quasi 1 giovane su 3 passa più di 6 ore a settimana a guardare gli altri, quelli bravi, giocare”.
È naturale quindi che saper giocare bene diventi molto importante come elemento di affermazione sociale e, anche per questo, si sta diffondendo l’usanza di investire somme di denaro - a volte notevoli - per acquistare virtual goods all’interno delle piattaforme videoludiche, per sostenere gli streamers preferiti o per acquistare account di terzi per partire da livelli di gioco più avanzati: “Circa 2 ragazzi su 3 lo hanno fatto almeno una volta, più di 1 su 10 lo fa spesso e volentieri”, continua Grassucci. Una spesa che, in alcuni casi, può diventare davvero onerosa: “Il 60% dei videogiocatori ha sborsato, negli ultimi sei mesi, più di 50 euro in questo tipo di attività; oltre 1 su 3 ci ha messo come minimo 100 euro. E se pensiamo che la passione, il tempo e i soldi spesi nel mondo videoludico siano inversamente proporzionali con l'età, ci sbagliamo di grosso: più si cresce, più si gioca”, sottolinea ulteriormente Grassucci.
Oltre il passatempo c'è molto altro
Per i ragazzi, però, i videogiochi non sono solo un passatempo più o meno impegnativo. Per moltissimi di loro, come anticipato, diventano una valvola di sfogo, un “luogo” di socialità o una sorta di test per mettersi alla prova: il 34,6%, ad esempio, li usa per uscire dalla noia, il 33,6% per acquisire competenze, l’11,2% per creare una realtà parallela, il 20,6% per conoscere nuove persone. “Come tutti gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione, si possono trovare degli aspetti buoni e cattivi. Molto sta nell’intento e nella consapevolezza con cui li utilizziamo”, osserva ancora Giuseppe Lavenia.
“Il periodo dell’adolescenza è un periodo complesso, ricco di emotività e di pensieri che bisogna imparare a gestire. Che si usino anche i videogiochi è comprensibile, in quanto possono aiutare a sperimentarsi, a conoscersi meglio, a gestire la frustrazione di una sconfitta, magari anche ad arrabbiarsi di più per autoincentivarsi a superare i propri limiti e a fare meglio in una prossima occasione. Per certi versi, possiamo paragonarli a quanto può accadere a chiunque offline: la vita presenta sempre degli ostacoli da superare, e se il gioco online può essere un contributo a esplorare le proprie risorse e i propri talenti ancora inesplorati, ben venga”, continua Lavenia.
Ma il presidente Di.Te., tornando sul fatto che per più di un terzo dei sondati (33%) giocare sia un modo per fare nuove esperienze allarga il discorso ben oltre l’universo giovanile: questa indagine, dice, “deve fare chiedere a noi adulti come mai non riusciamo a dargli degli input al di fuori dell’online. In molti casi, in base alla mia esperienza, i ragazzi chiedono un gioco e i genitori glielo comprano senza nemmeno sapere cosa stanno regalando ai figli. Bisognerebbe essere più partecipi della vita dei giovani, magari giocando un po’ con loro, per comprendere meglio cosa accade in quei mondi”.
A rimetterci è soprattutto la scuola
Un ultimo passaggio della ricerca da considerare, infine, riguarda l’impatto che hanno i videogiochi sull’impegno e sui risultati scolastici? Per il 33,7% il tempo speso a giocare ha peggiorato l’interesse verso la scuola, per il 34,1% ha affievolito l’approccio al proprio percorso formativo e per il 31,3% ha abbassato il rendimento scolastico. “Il rischio è che, andando avanti di questo passo, sempre più ragazzi abbandonino la scuola anche a causa dei videogames”, commenta Lavenia, che conclude: “Che fare il gamer sia uno dei possibili lavori del futuro, non lo si mette in discussione, ma fino a quando si potrà giocare ininterrottamente per così tante ore al giorno, e che conseguenze potrà avere? Questa domanda bisogna che ce la facciamo. L’istruzione rimane un tassello fondamentale nella crescita e bisogna fare in modo che i due aspetti coesistano”.
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