LE NUOVE REGOLE NON CONVINCONO

Quarantene a scuola: per i presidi il nuovo protocollo non evita la Dad e complica la vita

La gestione dei contagi a scuola con il nuovo protocollo inizia a mostrare delle fragilità: molti studenti sono costretti a tornare alla Dad anche se non sarebbe stato necessario. A spiegare perché è Cristina Costarelli, dirigente scolastico e Presidente ANP Lazio

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La parola d’ordine che il Ministero dell’Istruzione ha più volte ripetuto sin dall’inizio dell’anno scolastico 2021/2022 è sempre stata “presenza”, anche in mancanza di distanziamento. A togliere la Dad dalla naftalina fino a qualche settimana fa ci pensava la diffusione dei contagi tra gli studenti: bastava un solo caso positivo in classe per spedire tutti gli altri in isolamento. Così il Ministero dell’Istruzione, assieme al Ministero della Salute e al Comitato Tecnico Scientifico ha parzialmente modificato il protocollo di sicurezza prevedendo una disciplina più “morbida”, che fa scattare la Dad per tutti solo dalla terza positività nel gruppo classe. Ma sta davvero funzionando? A quanto pare non sempre, come sottolinea Cristina Costarelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Lazio e Dirigente Scolastico del Liceo Newton di Roma, raggiunta dal portale Skuola.net.

Un solo positivo non esclude la Dad per tutti

Appena si riscontra un caso positivo  infatti, gli istituti devono predisporre - assieme alle aziende sanitarie locali - lo screening di tutti i contatti scolastici dei contagiati (alunni, docenti e personale scolastico ), al cosiddetto tempo “t0”. Un sistema che, a causa dei tempi spesso lunghi per la refertazione dei tamponi o dei test antigenici, non sta funzionando del tutto. Un controllo che, inoltre, va ripetuto per verifica dopo cinque giorni (“t5”); facendo ripartire la giostra. Per non parlare del rientro “differenziato” in classe degli isolati, più rapido per i vaccinati e più lungo per i non vaccinati. Ecco perché, alla fine, molti dirigenti scolastici stanno quasi rimpiangendo il vecchio impianto del protocollo. 

“Alla presenza di un solo positivo - fa notare Costarelli - formalmente non si dispone la sospensione della didattica in presenza, ma di fatto gli alunni il giorno dopo non sono tutti a scuola”. Come mai? Innanzitutto, come detto, c’è la questione del primo tampone: se il risultato degli studenti è unanimemente negativo, la didattica potrebbe andare avanti senza interruzioni, in teoria; “in pratica è più complesso - dice la preside - in quanto il primo tampone rapido consente il rientro se negativo, ma solo se fatto nella struttura indicata dalla Asl. Se, come spesso accade, viene fatto da un’altra parte, da un altro medico o in farmacia, necessita del certificato medico e questo significa che normalmente il giorno successivo molti alunni ancora non hanno in mano il certificato per il rientro”.

Questo primo tampone zero, inoltre, “dovrebbe essere fatto da tutti il primo giorno, ma ciò è impossibile che avvenga” rincara la Presidente ANP Lazio. “E anche se ciò dovesse miracolosamente verificarsi, il problema si ripresenterebbe per il tampone dopo cinque giorni, quando tutti gli alunni devono essere sottoposti a un secondo screening, i cui esiti devono essere raccolti immediatamente dalla scuola perché altrimenti non si può rientrare, creando quindi una situazione aggrovigliata nella quale il T0 e il T5 rischiano di sovrapporsi”.

Oltre alle tempistiche non sempre brevi, non è da sottovalutare neanche il “fattore paura”, ovvero il non sapere se ci siano già altri positivi. Così, anche se il dirigente o il dipartimento non dispongono la sospensione “ci sono genitori che - racconta Costarelli - comunque decidono di non mandare gli alunni a scuola, perché nell’incertezza di sapere se poi ci saranno altri positivi, ogni genitore decide, comprensibilmente, di tenere i figli a casa”. Dunque, di fatto, l’attività non è sospesa formalmente ma almeno “i primi due giorni successivi al primo tampone, con la classe che non è interamente a scuola e con la didattica bloccata da questa situazione”.

La questione "falsi positivi"

In più, la preside riprende e sottolinea un problema già evidenziato: il tema dei falsi positivi. Questi falsi allarmi sono molto più frequenti con i tamponi antigenici, detti appunto rapidi. Così la scuola  “ritiene che ci sia un positivo - fa notare basandosi sull’esperienza di queste ultime settimane - che poi va a fare il molecolare, che magari può dare esito negativo. Ma nel frattempo hai messo in isolamento tutti quanti anche se non sarebbe stato necessario”.

Dunque le perplessità da parte dei dirigenti scolastici e dei docenti che stanno sperimentando questa procedura ormai da diversi giorni, non mancano. E infatti sono in molti a chiedersi se, a questo punto, non sarebbe stato meglio tornare alla procedura precedente: “Era davvero necessario introdurre questo nuovo protocollo - evidenzia la rappresentante dei presidi del Lazio - soprattutto in un momento in cui i contagi stanno aumentando, in cui c’è tanta paura, in cui i genitori non mandano comunque a scuola i figli se c’è un compagno positivo? Alla fine considerando i tempi che servono per completare lo screening al t0 e al t5, di fatto la didattica può funzionare a singhiozzo per una settimana, dieci giorni. Ovvero più o meno quanto duravano le quarantene con il protocollo precedente”.