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Stop alla violenza sulle donne: le cose che le ragazze devono sapere per dire “basta”

Per la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, l’attivista polItica e femminista Flavia Restivo, classe ‘95, intervistata da Skuola.net, dà il punto di vista dei giovani sulla violenza di genere e fornisce utili consigli per le ragazze vittime di ogni forma di prepotenza

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Da inizio anno, nel nostro Paese, è stata uccisa una donna ogni tre giorni. Secondo fonti del Ministero dell’Interno, infatti, sono state 109 le donne uccise (dal 1° gennaio al 21 novembre 2021). E nei due anni della pandemia le situazioni critiche sono peggiorate: il 2020 è stato l’anno in cui l’incidenza della componente femminile sul totale degli omicidi è stata la più alta di sempre: il 40,6%. Con le forme più gravi esercitate da partner, parenti o amici. Un triste fenomeno - quello della violenza sulle donne - che non conosce limiti generazionali. Anche tante, troppe, ragazze finiscono nel mirino.

Proprio per tentare di aiutare le giovani donne a comprendere appieno quanto siano varie le forme di sopruso di cui potrebbero essere vittime e i modi migliori per difendersi in caso di difficoltà, il portale Skuola.net - in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre) - ha chiesto il parere di un’esperta in materia: Flavia Restivo, classe 1995, attivista politica e femminista, già da anni in prima linea per combattere e contrastare violenze e discriminazioni di genere. Famose, ad esempio, le sue battaglie per l’abolizione della tampon tax e per l’inserimento dell’educazione sessuale e all’affettività nelle scuole.

Le basi del rispetto si imparano a scuola 

Perché la violenza può anche essere indiretta e declinarsi in decine di modalità diverse: fisica, sessuale, psicologica, economica, virtuale, ecc.. Situazioni che spesso non vengono nemmeno prese nella giusta considerazione o raccontate, perché normalizzate dalla nostra cultura. Ad aiutare, secondo Flavia Restivo, dovrebbe essere innanzitutto la scuola, che dovrebbe tutelare e far comprendere ai giovani uomini le basi del rispetto. Per venire incontro a questa esigenza, l’attivista ha messo in moto un’importante petizione per introdurre “una educazione sessuale, civica e la parità di genere nelle scuole, che possa aiutare i ragazzi - e soprattutto le ragazze - ad avere più coscienza di sé stesse, del proprio corpo, dei propri diritti, a capire cosa è consenso e cosa non lo è”. Una lezione che dovrebbe partire dalle famiglie, ma che molto spesso trova muri culturali insormontabili.

Anche in Rete c’è violenza, e sono le ragazze a subirla maggiormente

Anche il web, però, può essere uno strumento utile in questo senso, laddove sono le attiviste come Flavia a fare un grande lavoro di sensibilizzazione, spiegano le nozioni base utili a comprendere cosa significhi subire violenza, come reagire e a chi rivolgersi. Un impegno che negli ultimi tempi ha trovato terreno fertile, anche a causa della nascita di nuove forme di violenza virtuale. Sono proprio le ragazze a subire maggiormente questo tipo di angherie.

Il motivo? Più in generale, le radici del fenomeno partono dal lontano: “Sicuramente - spiega Flavia - siamo sempre più noi donne a essere vittime di questi abusi, perché è proprio di abusi che si parla, per il fatto che siamo cresciute in una società patriarcale in cui si ha l'idea che agli uomini sia sempre tutto concesso e che le donne, invece, debbano raggiungere determinati standard per essere considerate donne all'altezza di essere donne. Il body shaming, il revenge porn e l’hate speech, sono tutte violenze frutto di una cultura maschilista che impone alle donne un determinato comportamento o che pretende dalle donne cose diverse rispetto agli uomini”. 

Catcalling: cos’è e perchè si tratta di molestia

E poi ci sono situazioni in cui la violenza viene banalizzata e minimizzata dagli uomini, come nel caso del catcalling. “Una vera e propria molestia - continua Flavia - che spesso è subita dalle donne nel momento in cui, semplicemente, passeggiano per la strada, da sole o in compagnia, e si sentono fischiare e gridare”.

Non un commento affettuoso, non un singolo apprezzamento, ma “una mancanza di rispetto perché fa sentire le donne meno al sicuro, meno protette e soprattutto molestate”. Si tratta di commenti sessisti, fischi o urla che forse la maggioranza delle persone di sesso femminile si è sentita rivolgere, magari seduta a un tavolo o mentre passeggiava per la strada: “Ti fa sentire sminuita, molestata, stanca, scioccata, schifata. Cose di cui gli uomini non si rendono nemmeno conto”. Quando si riesce a prendere consapevolezza della gravità dell’azione e lo si fa notare, spesso, la risposta è la negazione o, peggio, c’è chi insiste nella stessa molestia.

Cosa fare quando si ha paura di denunciare?

Il timore di essere giudicate e di venire derise o additate, alle volte fa male tanto quanto l’ingiustizia subita. Da qui nasce la paura a denunciare e a esternare le violenze subite. Altre volte, invece, a inibire sono le ripercussioni che una denuncia nei confronti del carnefice può provocare. Flavia stessa ci ha raccontato la sua esperienza in merito: “Anche io ho subito una minaccia di morte e devo dire che ho avuto molta paura perché mi sono trovata in difficoltà su come reagire, per timore anche delle ripercussioni. Fare una denuncia significa mettere per iscritto il proprio nome e far capire che questa denuncia proviene da te. Quindi capisco perché molte donne, molte ragazze, abbiano paura di denunciare determinate cose perché temono ripercussioni”.

Quale potrebbe essere, quindi, una soluzione e come riuscire a convincere quelle ragazze che hanno scelto di rimanere in silenzio? La risposta dell’attivista è netta: parlare! Con chi? “Con i genitori, con gli amici, con tutti coloro che possono stare vicino e non farti rimanere mai sola. Cercando in ogni modo di tutelarsi e di denunciare trovando un appoggio che possa essere non soltanto morale e affettivo, ma anche nelle istituzioni e nelle forze dell’ordine. Provando a far capire la gravità della situazione, non sminuendo mai le violenze, perché ogni violenza è importantissima e ogni violenza potrebbe diventare fatale”. 

Come aiutare chi ha timore di denunciare 

Ma perché tanto timore a denunciare e come mai le donne non vengono messe nella condizione di farlo in tranquillità? Per Flavia il problema è legato al sistema della giustizia: “Dal momento in cui continuano a esserci femminicidi vuol dire che qualcosa non funziona. Molto spesso le donne che denunciano purtroppo vengono uccise o subiscono violenze da cui non riescono a fuggire”. 

Quale soluzione allora? “Bisognerebbe in primis tutelare la vittima tramite l’anonimato. Il mio consiglio è sempre quello di rimanere nell'anonimato e cercare di non far rendere conto della denuncia fatta ”. Inoltre, quando si ha intenzione di sporgere denuncia, potrebbe essere d’aiuto “consultare i numerosi enti esterni presenti sul territorio, che possono dare delle buone soluzioni su come reagire, senza rischiare di subire ulteriori ripercussioni”. Ne esistono diversi, tra cui Flavia cita “Odiare ti costa”, portale che orienta chi ha subito hate speech, anche sotto forma di diffamazione, cyberbullismo, revenge porn, minacce, violenza, offese alla propria reputazione e/o immagine sul web verso strumenti di tutela concreti.

Verso una reale parità di genere nel lavoro

Anche sul lavoro la situazione non migliora: esistono ancora “settori da uomini” e “settori da donne” e sono sempre troppo poche quelle che riescono a raggiungere posizioni di vertice all’interno delle aziende o istituzioni. “Questo non significa che le donne siano meno brave”, ricorda Restivo. La causa, semmai, è da imputare ai  “vari costrutti sociali e barriere che le donne incontrano quando vogliono intraprendere queste strade. Penso che la grande differenza siano le barriere, che possono essere psicologiche, fisiche, che impediscono molto spesso alle donne di andare avanti,o che le scoraggiano”.

Le mestruazioni sono ancora un tabù: il caso Tampon Tax

Dinamiche che si ripropongono anche nella lotta per i diritti fondamentali delle donne: uno su tutti, la Tampon tax. Dopo anni di rinvii, il Governo Draghi, con la nuova Legge di Bilancio, ha considerato la possibilità di abbassare l’IVA sugli assorbenti igienici femminili: “Si sta arrivando a passare il bene dal 22% (tassazione per i beni di lusso) al 10% - spiega l’intervistata - L'idea sarebbe quella di farla arrivare al 4% o ad abolirla del tutto, scelta più corretta in quanto il ciclo femminile è un evento naturale a cui nessuna donna può sottrarsi”.

Ma come mai un argomento così rilevante per il genere femminile è stato per anni marginalizzato? Anche in questo caso, per l’attivista bisogna guardare al nostro passato e alla società in cui viviamo: “Fino a poco tempo fa i bisogni primari delle donne non venivano presi in considerazione, questo è il motivo per cui tuttora in realtà rimane un argomento di nicchia. Almeno però il dibattito si è acceso e soprattutto penso comunque si siano fatti grandi passi avanti: parlare di ciclo fino a poco tempo fa era ancora considerato un tabù, e ci si sta rendendo conto di quanto sia importante che le donne abbiano una base sempre più egualitaria perché, ricordiamolo, si parla di un bene di prima necessità che fino a oggi non era considerato tale.

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