"Le forze politiche che hanno approvato la possibilità di concordato in appello sono le stesse che hanno approvato la legge dell’omicidio stradale. Noi non siamo d’accordo con questi sconti. Chiediamo di togliere la possibilità di godere di questi sconti durante il processo. Non è accettabile che pene di 18 anni vengano ridotte a 6 anni di reclusione, come nel caso di Janos Varga. È inconcepibile. Non si patteggia con la morte". Questo è l'appello di Alberto Pallotti, presidente dell'Aufv, Associazione unitaria familiari e vittime del dovere, proprio nel giorno in cui riprende il processo per il crollo del ponte Morandi.
L'organizzazione, che riunisce l'Associazione familiari vittime della strada, l'Associazione Unitaria Familiari e Vittime dell’A.M.C.V.S. e l’Associazione Mamme Coraggio e Vittime della Strada ODV, alza la voce: "Bisogna modificare la legge: non è possibile che in un processo per omicidio stradale gli imputati vengano condannati a pene irrisorie grazie ai riti alternativi, agli sconti di pena e al concordato in appello. Non si può poter usufruire dello sconto di pena per aver scelto il rito abbreviato e poi di un ulteriore sconto perché si è proceduto ad applicare il concordato in appello. Non è giusto nei confronti delle vittime e dei loro familiari".
Secondo l'associazione non deve succedere anche in questo procedimento giudiziario quello che, per esempio, si è verificato nel processo a carico di Pietro Genovese, il ventenne che a Roma ha investito e ucciso le sedicenni Gaia Von Freymann e Camilla Romagnoli. "Il caso Genovese non è il solo. Una cosa simile si è verificata anche al processo nei confronti di Janos Varga, l’autista ungherese del bus schiantatosi contro un pilone dell'autostrada a Verona, dove sono morte 17 persone quasi tutti studenti in gita. Entrambi i casi dimostrano che il problema dei riti alternativi, degli sconti di pena e del concordato in appello è reale - dice Pallotti - la legge dell’omicidio stradale, che ci pone all'avanguardia mondiale della lotta alle stragi stradali, prevede pene importanti. Ma non servono a nulla, se poi vengono vanificate da sconti e riti premiali tali da svilire il concetto con il quale questa legge è stata introdotta nel nostro ordinamento".
A spiegare meglio la questione, interviene il legale dell'Associazione, l'avvocato Davide Tirozzi che dice: "Nel nostro codice sono previsti riti alternativi a quello ordinario, come il rito abbreviato e il patteggiamento. Quest'ultimo non è altro che una sorta di accordo tra l’imputato e il pm per concordare una pena finale. In questo accordo l'unico soggetto che può avere voce in capitolo è il giudice, mentre le parti civili non hanno voce in capitolo. Da qualche anno, per snellire i tempi processuali, è stato reintrodotto anche il concordato in appello, una sorta di patteggiamento che viene formulato in fase di appello. Si tratta di un accordo tra il procuratore generale e l'imputato, che rinuncia ai motivi di appello non andando a sindacare sulla responsabilità del fatto, mentre non riconosce la pena e quindi va rideterminarla con un nuovo conteggio".
"Anche in questo contesto", continua Tirozzi, "le parti civili non possono avere voce in capitolo. Può succedere, dunque, come successo a Varga, che la pena venga ulteriormente rimodulata in appello a seguito del patteggiamento e godere di uno sconto della pena fino a un terzo".