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I genitori di Regeni all’Unione europea: “Solo parole e poche azioni, vogliamo giustizia”

La famiglia punta il dito contro "i singoli Paesi che procedono secondo i loro interessi". Ma il caso del ricercatore italiano è solo uno dei tanti, denuncia la Commissione egiziana per i diritti e le libertà  

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Supporto e azioni concrete, i genitori di Giulio Regeni chiedono aiuto all’Unione europea: “Vogliamo vicinanza e giustizia con fatti concreti, si deve arrivare alla verità per nostro figlio perché sarebbe anche un modo per aiutare il popolo egiziano". Una dichiarazione che arriva dopo l’ennesima delusione (il processo a Roma da ricominciare) di un caso arenato da anni tra tensioni diplomatiche e scarsa "collaborazione" da parte del governo egiziano. 

Paola e Claudio Regeni, insieme al legale Alessandra Ballerini, hanno portato la loro testimonianza al Parlamento europeo. “In tutti questi anni abbiamo sentito solo parole e poche azioni, mentre singoli Paesi procedono secondo i loro interessi. Chiediamo un supporto con azioni che vadano oltre le parole".

L’ultima delusione - L'appello dei genitori di Giulio è la conseguenza dell’ennesimo stop. Il processo ai quattro agenti egiziani accusati della morte del ricercatore Giulio Regeni è stato bloccato. Il 14 ottobre la Corte d’assise di Roma ha deciso di rimandare gli atti al gup. Per la Corte, a causa della loro assenza in aula, “non si è potuto essere certi dell’effettiva conoscenza del processo da parte degli imputati, né della loro volontaria sottrazione al procedimento”. La nuova udienza sarà finalizzata a un’ulteriore ricerca dei quattro 007 egiziani coinvolti nell’inchiesta. Ma per ora tutto rimane fermo.

Il Parlamento Europeo  il 16 dicembre 2020 aveva esortato le autorità egiziane a fornire gli indirizzi di residenza dei quattro agenti accusati di omicidio. Le prove a disposizione dei magistrati italiani infatti, a detta del Parlamento, sono inequivocabili. Ma la richiesta è rimasta inascoltata e i genitori di Giulio chiedono ora azioni reali. 


Gli altri "casi Regeni" - La vicenda del ricercatore italiano è importante non solo per i risvolti giuridici sul singolo caso ma può essere anche un modo per mettere a nudo i metodi della sicurezza in Egitto. Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, un’organizzazione per i diritti umani con sede al Cairo, tra il 2015 e il 2020 ci sono stati 2.723 casi di sparizioni legate a motivazioni politiche. Inoltre dal 2014, quando Al Sisi è salito al potere, i procedimenti giudiziari contro le forze di polizia sono stati rari. Nessuna azione legale invece contro le forze di sicurezza interna egiziane. 

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