A tre anni di distanza da "Resistance Is Futile" tornano i Manic Street Preachers con "The Ultra Vivid Lament", 14° album in studio nella storia della band gallese. Un lavoro figlio del momento storico che stiamo vivendo dove, nell'arco di undici brani, viene sviluppata una riflessione sull’isolamento, una condizione rappresentata nel disco come una stanza disordinata e annebbiata da ricordi spesso dolorosi, a cui si reagisce volgendo lo sguardo oltre una finestra e ammirando il paesaggio in cui si incontrano la terra e l'infinità del mare e del cielo.
Anticipato dai singoli "Orwellian" e "The Secret He Had Missed" (che vede la partecipazione di Julia Cummings dei Sunflower Bean), "The Ultra Vivid Lament" è un album che vede il ritorno del gruppo al massimo della forma. James Dean Bradfield, Nicky Wire e Sean Moore per l'occasione hanno cambiato il loro metodo di lavoro, componendo tutti i brani per la prima volta al pianoforte e non alla chitarra. Ne è uscita una serie di composizioni caratterizzate da introspezione, rabbia silenziosa e il classico afflato melodico dei Manics almeno dal 1996, ovvero da quando, scomparso misteriosamente il loro chitarrista carismatico Richey Edwards, la band si è in qualche modo reinventata perdendo l'attitudine post-punk e iconoclasta degli inizi, per spostarsi su posizioni più morbidamente rock.
Da sempre portatori di una forte visione politica, in tempi difficili e confusi come questi i Manics sembrano aver trovato nuova fonte di ispirazione, per quanto i testi siano in larga parte introspettivi. Il disco è stato registrato durante l'inverno 2020-21 in Galles tra il Rockfield di Monmouth e lo studio della band, il Door to the River a Newport, con il supporto dello storico collaboratore Dave Eringa. Musicalmente la classica scrittura della band si è arricchita di numerose influenze, che vanno dagli ABBA ai Rem più cupi e psichedelici di "Fables of the Reconstruction" (1985), ma includono anche i Simple Minds, Echo and the Bunnymen e tanto new wave. Sono tanti i momenti incisivi di un disco che, mancando forse solo del pezzo killer, fa della compattezza e dell'equilibrio la sua forza. Da "Snowing in Sapporo" alla profonda "Diapause", passando per "Happy Bored Alone", sorta di esaltazione di una solitudine gioiosa che rifiuta la costrizione digitale, e "Blank Diary Entry", interpretata insieme a Mark Lanegan.
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