Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres si dice a favore di un "dialogo" continuo con i talebani in Afghanistan. "Dobbiamo mantenere un dialogo, in cui affermiamo direttamente i nostri principi, con un sentimento di solidarietà con il popolo afghano", ha affermato. Ma sul campo la violenza non si ferma: picchiati due giornalisti. Le immagini shock fanno il giro del mondo. "Temevo di morire", racconta uno dei due.
La posizione dell'Onu - "Occorre mantenere un dialogo con i talebani - ha proseguito Guterres - dove affermiamo i nostri principi in modo franco. Il nostro dovere è quello di offrire la nostra solidarietà a un popolo che sta soffrendo enormemente, dove milioni e milioni di persone rischiano di morire di fame".
Secondo il capo delle Nazioni Unite è necessario evitare il crollo dell'economia afghana. Senza menzionare una revoca delle sanzioni internazionali, Guterres ha suggerito come "strumenti finanziari" potrebbero permettere all'economia di respirare.
"Ci sono garanzie" per la comunità internazionale in termini di protezione dei diritti delle donne e delle ragazze? "No, - ha risposto in un colloquio con l'agenzia di stampa Afp rilanciato da diversi media - la situazione è imprevedibile e poiché è imprevedibile, dobbiamo coinvolgere (nella discussione) i talebani: se vogliamo che l'Afghanistan non sia un centro di terrorismo, se vogliamo che le donne e le ragazze non perdano tutti i diritti acquisiti nel periodo precedente, se vogliamo che le diverse etnie si sentano rappresentate".
La drammatica testimonianza dei giornalisti picchiati - Giornalisti in Afghanistan affermano di essere stati picchiati, detenuti e frustati dai talebani mentre cercavano di documentare le proteste scoppiate nel Paese. Lo riporta la Bbc. Alcune foto che circolano online mostrano due giornalisti del quotidiano Etilaat Roz (uno dei principali quotidiani dell'Afghanistan) con lividi e contusioni dopo il loro arresto avvenuto nella capitale Kabul. Uno di loro, Taqi Daryabi, ha riferito alla Bbc di essere stato portato in una stazione di polizia dove è stato preso a calci e picchiato. Mercoledì anche ai reporter della Bbc è stato impedito di lavorare.
La libertà di stampa, dunque, era solo una delle tante promesse al vento dei talebani tornati al potere: il nuovo regime non vuole testimoni tra i piedi. Lo hanno capito a loro spese i due giovani giornalisti afghani Taqi Daryabi, fotografo di 22 anni, e Nematullah Naqdi, cameraman di 28, che volevano seguire per il loro giornale Etilaat Roz una manifestazione di donne che protestavano per i loro diritti davanti a un commissariato di Kabul.
Prima le minacce per strada e il tentativo di togliere loro la telecamera - che i due reporter sono però riusciti a consegnare di nascosto a una dimostrante -, poi sono stati trascinati di forza dentro lo stesso commissariato e picchiati per ore.
In una stanza vuota, "i talebani hanno cominciato a insultarmi, a prendermi a calci in quattro o cinque. Mi hanno legato le mani dietro la schiena, mi hanno buttato a terra e picchiato con bastoni, cavi, tubi, tutto quello che trovavano. Ho temuto che mi uccidessero", ha raccontato Nematullah all'Afp. "Gridavo, continuavo a ripetere che sono un giornalista. Ma non gli importava e mi hanno preso a calci in testa e sulla schiena", ha proseguito. "E dopo averci picchiati, ci hanno detto: 'Ora avete capito cosa succede se filmate?'".
Una volta liberati i due sono tornati in redazione, si sono spogliati con dolore e fatica, per farsi fotografare dai colleghi e mostrare al mondo il vero volto dei talebani: enormi ematomi sulla schiena e sulle gambe, segni di frustate, ferite, anche sul volto. "La situazione dell'informazione è drammatica, oltre 100 media hanno smesso di funzionare lo scorso mese", riferisce un rapporto dell'Easo, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo. Inoltre, "i talebani rastrellano i giornalisti afghani casa per casa", specialmente quelli che hanno lavorato per gli Stati Uniti o per il precedente governo afghano.
"Per loro, noi giornalisti siamo dei nemici", ha detto il giovane Taqi, anche lui malridotto dalle botte. Quando ha chiesto ai talebani perché lo stessero picchiando, uno di loro gli ha risposto: "Sei fortunato che non ti abbiamo decapitato".