Life is Strange: True Colors è il nuovo capitolo della serie realizzata da Dontnod che ha preso vita nel 2015, quando il gioco originale ha iniziato a farci capire, attraverso la storia di Max e Chloe, fino a che punto la vita possa essere strana. Un concetto ripreso anche qui, seppur per mano di Deck Nine Games che ha raccolto l’eredità di Dontnod proseguendo il discorso iniziato con Before the Storm, lo spin off dell’originale Life is Strange di cui lo studio di sviluppo canadese si è occupato nel 2017.
Il gioco racconta la storia di Alex Chen, una ragazza dotata di un potere fuori dal comune: quello di percepire le emozioni altrui. Potremmo semplicemente chiamarlo empatia ma è qualcosa di più, un dono che lei prende come una maledizione e le permette di avvicinarsi a tal punto alle emozioni altrui da poter percepire anche i pensieri delle persone – a patto che la loro emozione sia sufficientemente forte.
Life is Strange: True Colors sceglie dunque il potere di leggere gli stati d’animo come mezzo per sottolineare una volta di più la portata emotiva della vicenda che andremo a vivere.
Vissuta per anni in un continuo andirivieni tra case famiglia e famiglie vere e proprie, che tuttavia non l’hanno mai saputa accettare, Alex viene infine rintracciata dal fratello maggiore e invitata a Haven Springs, una piccola cittadina del Colorado dove tutti si conoscono e fanno in modo di far sentire Alex a suo agio da subito.
Un nuovo inizio, quindi, la possibilità di assaporare finalmente la vita e una casa da poter definire tale, almeno fino a quando la tragedia si abbatte su Alex portandole via il fratello: un incidente, del quale però lei non è convinta e su cui comincia a indagare, alternando la sua fame di giustizia con la vita di tutti i giorni ad Haven – cercando di ambientarsi, trovare il suo posto nel mondo, qualcuno da amare e che possa ricambiarla.
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Questo nuovo capitolo è dunque un gioco che racconta con tono tenero e gentile un pezzo di vita imperfetta. Lo fa in maniera altrettanto imperfetta, a volte anche un po’ sgangherata, ma è proprio per questo che alla fine è facile specchiarsi nei personaggi di Haven Springs e nelle loro vicende, perché sono umane e come tali, non possono ambire in nessun modo alla perfezione, ma solo ai migliori compromessi possibili.
In termini di gameplay, rispetto al riavvolgimento del tempo di Max, il potere di Alex è meno funzionale, meno appariscente, meno ludico, e sotto questo aspetto True Colors non può competere con l’eccezionalità (in senso di unicità) del primo Life Is Strange. Ci troviamo di fronte a un’avventura, se vogliamo, più classica, che alterna fasi di esplorazione molto più dilatate e canoniche rispetto al passato. Non tutte le interazioni sono riuscitissime e restituiscono qualcosa di tangibile, ma è comprensibile che l’idea di Deck Nine Games fosse quella di descrivere l’impatto della giovane ragazza su Haven e utilizzare Alex per entrare nelle vite degli altri e raccontarle.
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Questa cosa richiede un po’ di tempo e sì, True Colors è un gioco lento, ripetitivo nel suo modo di svelarsi e raccontarsi. Non perché manchino le cose da fare, o perché la vicenda narrata sia complessa, anzi, ma perché l’intera avventura verte sulla scoperta di piccole cose, spesso legate al vivere quotidiano, e all’uso del potere di Alex come formula di lettura del reale. Proprio per questo, le prime ore di gioco sembrano diluite e il vagare per lo scenario e premere i tasti interazione sugli oggetti di certo non aiuta a rendere più fluida la narrazione.
Poi, però, arriva il capitolo 3, dove gli sviluppatori si prendono la libertà di introdurre nuove meccaniche per la serie, andando a cambiare radicalmente anche quelle di gameplay, riscrivendo quasi la formula dell’avventura e lanciandoci verso gli ultimi due capitoli, dove la narrazione e le scelte dialogiche si fanno più serrate, ritmate e anche piuttosto sorprendenti. Il capitolo 3 è il plot twist, per certi versi, dell’avventura ed è la pietra angolare intorno a cui True Colors è strutturato, grazie a cui acquista un senso più profondo, meno immediato della mera storia di formazione post-adolescenziale.
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Sta a noi decidere cosa Alex deve lasciarsi alle spalle, sta a noi decidere per cosa e per chi vale la pena combattere. Invece di lasciare le macro decisioni alla fine, il processo di True Colors tiene conto di diverse sfumature e le conclusioni dei singoli archi narrativi sono determinati da un set di alternative piuttosto variegato e convincente.
È vero, i modelli poligonali dei personaggi e le loro espressioni facciali un po’ gommose non accompagnano sempre al meglio l’intensità delle conversazioni, soprattutto quando sono frutto di scambi interattivi e si perde sempre un attimo dopo ogni risposta, ma il bel lavoro fatto sugli sguardi dei personaggi, la solita attenzione maniacale alla colonna sonora e una regia intelligente ammortizzano questi momenti, facendoci rimanere sempre nella scena, sui personaggi sugli oggetti.
Questo tipo di narrazione permette di superare agevolmente qualche problemino tecnico sparso qui e là e porta a casa un risultato molto gradevole da vedere, specialmente negli interni, realizzati con gusto, cura e pieni di oggetti che parlano.
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Life Is Strange: True Colors è come Haven, la città del Colorado che racconta: è un piccolo rifugio che non promette nulla di stravolgente, offre un orizzonte accogliente fatto da un sistema di gioco collaudato e da una bella storia in cui riconoscersi, entrare in contatto con sé, guardarsi un po’ allo specchio in maniera un po’ auto-indulgente, ma forse è anche a quello che servono i rifugi, a stare lontani dall’esigenza di essere cinici per trovare un piccolo momento di gentilezza e di tenerezza.
Come lo abbiamo giocato
Abbiamo giocato a Life is Strange: True Colors su PlayStation 5 collegata a un monitor LG 27UL500, 4K, HDR. Abbiamo impiegato tra le 8 e le 10 ore per completare i cinque capitoli di gioco, collezionare ricordi e vedere tre finali su sei (perché facilmente raggiungibili modificando poche scelte).
Può piacere a chi…
… conosce la serie di riferimento e la sua evoluzione
… apprezza i videogiochi con forte enfasi sulla narrazione
… vuole sentirsi protagonista della storia, avendo il controllo delle scelte
Potrebbe deludere chi…
… preferisce l’azione al ritmo compassato delle parole
… cerca un maggiore coinvolgimento nell’esplorazione
… si sarebbe aspettato un’evoluzione netta del gameplay
Life is Strange: True Colors è un gioco consigliato ai maggiori di 16 anni.