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Venezia 78, Sorrentino si commuove: nove minuti di applausi per l'autobiografico "E' stata la mano di Dio"

Nel film in Concorso il regista napoletano racconta la sua adolescenza traumatizzata dalla perdita dei genitori

Venezia 78, il red carpet di "E' stata la mano di Dio"

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Luisa Ranieri
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Manuela Lamanna e Toni Servillo
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Paolo Sorrentino e Daniela D'Antonio
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Luisa Ranieri
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 Luca Zingaretti e Luisa Ranieri
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 Filippo Scotti
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 Alessandro Borghi
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Zoe Saldana
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 Marlon Joubert
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 Eleonora Carisi
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Matt Dillon
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Gaia Gozzi
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 Sofya Gershevich

Nove minuti di applausi, emozione palpabile e occhi lucidi per Paolo Sorrentino dopo la proiezione in Sala Grande del suo "È stata la mano di Dio", in Concorso alla 78esima Mostra Internazionale d'Arte cinematografica di Venezia. Il nuovo film del regista è anche il suo più personale, intimo e autobiografico in cui ripercorre l'adolescenza e la perdita dei genitori a 16 anni.

"È stata la mano di Dio" è sicuramente diverso da tutti i precedenti film di Sorrentino, come storia, ambientazione, stile cinematografico. Proprio il regista napoletano rivela come possa essere considerato più che una svolta, un nuovo inizio: "Ero qui a Venezia 20 anni fa con il mio primo film, 'L'uomo in più', interpretato da Toni Servillo, mi piace pensare che questo sia un nuovo inizio".

Il titolo cita la famosa e mitica frase di Diego Armando Maradona per giustificare il suo gol all'Inghilterra ai Mondiali del 1986: "E' una bellissima emblematica metafora. E' un titolo che si riferisce al caso o al divino, io credo nel potere semi divino di Maradona", dice Sorrentino che da ragazzo, proprio per vedere la partita del Napoli a Empoli non seguì i suoi genitori nell'abituale weekend in montagna a Roccaraso, dove morirono per una fuga di gas. "E' un mio grande rammarico non aver potuto far vedere il film a Diego, il mio primo desiderio era questo", spiega mentre riguardo alle polemiche sull'approvazione del progetto il regista ritiene che non venissero dall'ex calciatore (morto il 25 novembre 2020), "ma piuttosto dal suo entourage". 

E nel film Sorrentino fa i conti con il suo passato segnato appunto da quella tragedia dopo la quale capì meglio cosa voleva fare da grande: il cinema e trasferirsi a Roma. "C'è voluto più coraggio a scriverlo che a farlo, perché poi sul set, anche se ci sono stati momenti emozionanti, ci sono le scelte e i problemi pratici che ti salvano e ti fanno superare quasi del tutto le paure. Mi sono deciso ora forse perché ho l'età giusta, quella in cui si fanno i bilanci, ho fatto 50 anni, e tutto quell'amore vissuto e tutto quel dolore potevano essere declinati in un racconto cinematografico, mi sono sentito insomma abbastanza grande o maturo per affrontarlo".

Il regista premio Oscar per "La grande bellezza" rivela poi rispetto alla sua filmografia: "Io sono molto pauroso nella vita, al cinema invece accade il contrario, mi sembra di essere stato finora coraggioso, ma per questo film tutto era diverso: la priorità è stata non tradire quei sentimenti vissuti all'epoca dei fatti, fare un film semplice, essenziale e lasciar passare sentimenti ed emozioni". 

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