I videogiochi si sono ormai conquistati da tempo un posto tra i mezzi più efficaci nel supportare la terapia e la riabilitazione in diversi settori della medicina. In tal senso, uno studio recente ha sondato la possibilità che la realtà virtuale possa essere utilizzata come strumento di esercizio, con relativa soddisfazione positiva del paziente, sulle persone affette da morbo di Parkinson.
Lo studio, "Can Immersive Virtual Reality Videogames Help Parkinson's Disease Patients? A Case Study", è stato condotto dai ricercatori dell'Università di Vigo, in Spagna, i quali hanno studiato gli effetti della realtà virtuale su quattro adulti con Parkinson, la cui età variava da 53 a 71 anni. Tutti i partecipanti presentavano sintomi motori che interessavano entrambi i lati del corpo, problemi nella deambulazione e cattiva postura.
I ricercatori hanno constatato che condurre i test in un ambiente completamente immersivo, con la guida di un fisioterapista, sembrava rendere la terapia piacevole e ristoratrice per i partecipanti. Secondo il team, infatti, "la lotta alle limitazioni causate dal Parkinson potrebbe rendere la realtà virtuale uno strumento adatto all'applicazione di programmi terapeutici e di riabilitazione, grazie alla sua adattabilità al paziente, alla specificità della patologia e all'alta aderenza prevista".
La malattia di Parkinson è caratterizzata infatti da sintomi motori come tremori, movimenti lenti e instabilità del corpo, così come sintomi non motori (deterioramento cognitivo, fatica, dolore e problemi del sonno). Per alcuni pazienti, le terapie di esercizio possono aiutare a migliorare la sopportabilità di entrambi. I videogiochi hanno dunque dimostrato benefici nell'aumentare i livelli di attività fisica e nel migliorare l'equilibrio e le funzioni cognitive nelle persone anziane.
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Tuttavia, esistono delle limitazioni associate all'interfaccia di gioco che possono renderne difficile la fruizione per i pazienti di Parkinson con alcuni sintomi motori. Per i ricercatori l’approccio alternativo è costituito proprio dal gioco in VR, che è più adattabile ai pazienti con diversi livelli di disabilità e può essere completamente coinvolgente utilizzando display montati sulla testa (head-mounted display).
"Lo scopo di questo studio è stato quello di descrivere i casi di pazienti affetti da Parkinson che hanno provato i videogiochi con un visore indossato come caschetto, in un ambiente completamente immersivo, andando a indagarne il possibile utilizzo come strumento di esercizio terapeutico", concentrandosi soprattutto su parametri come sicurezza, usabilità, esperienze personali, soddisfazione dell'utente e sforzo post sessione.
Il sistema di gioco consisteva dunque in un display posizionato sulle teste dei pazienti, due controller palmari, due sensori esterni per definire la superficie di gioco, un adattatore wireless e un computer munito di software. Sono stati testati due interventi in due giorni diversi, in cui ogni sessione ha previsto una fase di preparazione e una di allenamento. I partecipanti sono stati supervisionati da un fisioterapista con esperienza nel Parkinson.
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Nella prima fase si è scelto di utilizzare lo Steam VR Home, dove i partecipanti hanno potuto interagire all’interno di una stanza con una porta che si apriva su un paesaggio esterno di montagna, dando loro la possibilità di muoversi nell'ambiente di gioco e manipolare diversi oggetti. Nella sessione di allenamento, i pazienti hanno giocato invece a BOX VR, un simulatore di palestra, che ha previsto l'esecuzione di diverse tecniche di boxe nonché il movimento di tutto il corpo attraverso esercizi di coordinazione motoria.
La seconda fase, analogamente alla prima, ha compreso invece un pre-allenamento in cui i partecipanti si sono immersi nel fondale marino, muovendosi e interagendo con oggetti virtuali. Anche durante questa sessione è stato nuovamente utilizzato il gioco BOX VR durante la fase di allenamento, ma comprensivo di esercizi più impegnativi, dove è stata richiesta ai pazienti l'esecuzione di movimenti aggiuntivi, come squat e ampi movimenti laterali per evitare gli oggetti atti a migliorare l’equilibrio e la boxe che ha coinvolto gli arti superiori.
Tutti i partecipanti hanno completato la prima sessione di allenamento senza effetti avversi o sintomi di fotosensibilità. Due partecipanti hanno riportato punteggi di usabilità di 75/100, uno ne ha totalizzati 80/100, e l'altro 100/100. Un questionario sull'esperienza di gioco ha raccolto invece le impressioni personali, con commenti positivi in un range da 2,5/4 a 4/4 ed esperienze negative minime (da 0/4 a 0,33/4). Nessuno dei partecipanti ha riportato stanchezza. La scala dello sforzo percepito ha infatti mostrato bassi punteggi di difficoltà, variando da 1/10 a 3/10. La frequenza cardiaca media era di 94 battiti al minuto (bpm) per un paziente e di 100 bpm per gli altri tre.
Dopo la seconda sessione, non sono stati nuovamente riportati sintomi avversi come nella prima sessione. Al contrario, tre dei partecipanti hanno sperimentato un certo livello di stanchezza. La difficoltà percepita era più alta nella seconda sessione, con punteggi da 5/10 a 8/10, così come più elevate sono apparse le frequenze cardiache medie di ogni partecipante.
Infine, un questionario di soddisfazione ha cercato di valutare i punti di forza e di debolezza riferiti dai pazienti, mostrando che tutti i partecipanti hanno sperimentato "un'esperienza davvero soddsfacente". Tutti hanno riferito che avrebbero ripetuto volentieri le sessioni di allenamento, di come l'allenamento fosse appropriato alla loro età e che avrebbero raccomandato i giochi in realtà virtuale ad altre persone affette da Parkinson.
“I videogiochi in VR dovrebbero essere testati su campioni di popolazione più estesi”, hanno affermato i ricercatori. "La ricerca futura potrebbe coinvolgere studi clinici riguardanti gli effetti di un allenamento a lungo termine, incoraggiando la valutazione delle variabili fisiche, psicologiche e sociali nella popolazione parkinsoniana, o anche gli aspetti propri di questo disturbo come il miglioramento dell'equilibrio, della forza, dell'andatura o dell'indipendenza funzionale", hanno concluso.