Nella cucina di un’antica casa del ghetto alla scoperta del Kosher Style di Nonna Betta
L'amore è ciò che contraddistingue un piatto, i suoi ingredienti e la realizzazione: da Nonna Betta si educa a una tradizione che non sia solo moda
Nonna Betta
Il ghetto di Roma è un luogo ormai inesistente. Totalmente “distrutto” dal risanamento edilizio di fine Ottocento, tranne che per quella piccola estensione voluta da Leone XII (1825) che coincide con l’attuale via della Reginella. Eppure questa porzione di una Roma “sparita” attrae l’interesse di visitatori e turisti, oltre quello degli storici ovviamente. Ci vediamo al ghetto! Un termine che continua ad essere usato come se le sue case fatiscenti si affacciassero ancora sul Tevere. E’ così, dunque, che il ghetto di Roma si è trasformato da spazio di reclusione in luogo di accoglienza.
“Nonna Betta” – il ristorante kosher style di Umberto Pavoncello – è proprio questo.
Nell'affollato pianeta della ristorazione romana, tanti, troppi food makers si intestano ad arbitrio valori fondativi quali Tradizione, Tipicità e bla e bla e bla. Una narrativa che funziona finché non ti siedi a tavola.
Mangi e bevi, paghi, esci e quasi sempre pensi: ok, apprezzo le intenzioni, ma la mia nonna buonanima vi potrebbe dare lezioni. Insomma, dietro le etichette, e gli articoli determinativi che orpellano molti menu, si riscontra un vuoto desertico di contenuti: turistica mediocrità con riduzione di balsamica presunzione snob.
Forse adeguata al livello medio della domanda di un pubblico spesso ineducato al gusto.
Umberto – in ebraico Avraham, è il simbolo dell'ospitalità e dell'inclusività – è così che
“Nonna Betta” arriva a rappresentare quasi un caso di studio, una storia di successo talmente
eccezionale da rendere persino superflua la regola. O forse, semplicemente, è la dimostrazione che al di là di tutti i business plan e gli algoritmi essenzializzatori, è sempre e soltanto la Persona a fare la differenza. Ci si siede a tavola accolti da una tovaglietta che spiega immediatamente l’alfabeto ebraico. Colpisce, più di tutte, la lettera A “l’amore nella sua forma più pura si avvera attraverso le nostre azioni, quando doniamo noi stessi agli altri.”
Una “entrée” inedita e necessaria proprio per educare a una tradizione che non sia solo moda. E’ da questa filosofia che nasce il Kosher Style. Che cos’è? “È come si osservava la casherùt nella maggioranza delle case ebraiche quando era più difficile seguire tutte le regole. Un ebreo osservante non mangia kosher style ma la nostra clientela è sempre stata quasi esclusivamente non ebraica e, per sua fortuna, non soggetta alle limitazioni delle regole alimentari ebraiche. Quindi da Nonna Betta si possono gustare sia i piatti a con la carne, sia quelli con il formaggio o il burro, cosa impossibile in un ristorante kosher. Per mangiare tutte le specialità della cucina giudaico-romanesca bisogna andare in almeno in due ristoranti.
È opportuno ricordare che queste regole alimentari non hanno niente a che fare con il salutismo, sono regole religiose, obbligatorie solo per gli ebrei. Quindi da Nonna Betta puoi mangiare una cacio e pepe con cicoria e l'abbacchio al forno con le patate; una gricia alla giudìa con i carciofi e parmigiana di melanzane. Il carciofo alla giudìa - considerato il migliore nelle varie classifiche -, la zuppa di ceci e baccalà o la concia di zucchine o i pezzetti fritti non avrebbero limitazioni di sorta né in un pranzo con piatti di carne né in uno con piatti che contengono latticini. Sono tutti piatti semplici di cui si sente immediatamente la genuinità ma soprattutto il sapore della cucina di una volta.” Si tratta di materie prime ricercate e ricette talvolta salvate dall’oblio. Di un menù così ricco nel quale ogni singola voce – sia pure un semplice contorno – ha anima e personalità in una sinfonia di varianti ideate dallo chef Gamil.
La ricetta della Concia
Ecco un contorno semplice e ricco di gusto della tradizione giudaico-romanesca. A un primo
impatto ricorda le zucchine marinate, ma a noi, ovviamente, piace quella tradizionale del ghetto romano.
È un piatto davvero semplice da preparare, e basta seguire i nostri consigli per realizzare la
vera concia ebraica, legata alla storia e al territorio. Gli ingredienti per la concia di zucchine
· 1 kg di zucchine (rigorosamente romanesche!)
· Prezzemolo oppure Mentuccia romana (inconfondibile)
· Aceto di vino
· Olio per friggere ad alte temperature
· Olio extravergine di oliva
Ecco come preparare la concia
Poeticamente, andrebbe spiegata così:
Sottili sottili, veloci veloci, le zucchine romanesche dentellate si adagiano naturalmente sul fianco, una sull’altra. Leggermente obliquo è il loro riposo ad asciugare e, al risveglio, si tuffano nell’olio bollente per la frittura che le renderà croccanti e asciutte. Poi l’olio extravergine d’oliva, l’aglio e il prezzemolo faranno festa intorno a loro, delicatamente euforici a causa di una provvidenziale spruzzata d’aceto.
E ora che ci siamo concessi un po’ di poesia in cucina, meglio spiegarla in maniera più semplice. Lava e asciuga bene le zucchine, spuntale e tagliale a rondelle sottili (tagliandole per la lunghezza aumenta la superficie esposta all'asciugatura) e mettile ad asciugare su un canovaccio almeno un paio d’ore. Inizia a scaldare olio in abbondanza in una bella padella dai bordi alti per la frittura. Friggile un po’ alla volta, perché non si attacchino. Rimuovile dalla padella quando prendono un bel colore dorato, e falle scolare per bene in un colabrodo o su un piatto ricoperto di carta assorbente, con una spolverata leggera leggera di sale.
Ora prendi un recipiente lungo e alto e inizia a disporvi le zucchine a strati, una accanto all’altra, condendo ogni strato con il prezzemolo oppure con la mentuccia (due diverse scuole di pensiero) e una spruzzata di aceto di vino (per la dose regolati a seconda dei tuoi gusti).
I consigli di Nonna Betta
Quando la concia si raffredda, ricoprila con pellicola trasparente e lasciala riposare in
frigo per qualche ora. Ricorda però di tirarla fuori a temperatura ambiente almeno
una mezz'ora prima di servirla.
di Micol Ferrara
a cura di Indira Fassioni
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