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Università, è “effetto pandemia”: ci si laurea prima, ma 1 neolaureato su 3 è senza lavoro

La pandemia, tra i tantissimi effetti negativi per molti settori, ne registra anche uno positivo: ha accelerato le carriere universitarie degli studenti italiani. Lo stesso non si può dire per le prospettive lavorative dei neolaureati

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L’età media di chi ha conseguito un titolo accademico nel 2020 cala ancora. A segnalarlo il XXIII Rapporto AlmaLaurea, che annualmente fotografa il profilo e la condizione occupazionale dei laureati. A riassumerne i passaggi salienti è il sito Skuola.net. Secondo i dati appena presentati, complessivamente ci si laurea attorno ai 25,8 anni (in poco più di un decennio l’età media è calata di oltre 1 anno: nel 2010 era di 26,9 anni).

Più nel dettaglio, si registra una media di 24,5 anni per i laureati di primo livello, di 27,1 per chi conclude corsi magistrali a ciclo unico e di 27,2 anni per chi arriva alla laurea magistrale biennale. Dati, questi, che peraltro tengono conto anche del ritardo nell’iscrizione al percorso universitario - rispetto alle età ordinaria dei 19 anni, per la laurea di primo livello e per quella a ciclo unico, e di 22 anni, per la magistrale biennale - che tra i laureati del 2020 in media è stata pari a 1,4 anni (in pratica si è partiti già con una media di quasi un anno e mezzo da aggiungere ai tempi effettivi di svolgimento del corso).

Studenti più regolari nell’anno del Covid: ma c’è il trucco

Migliorata anche la regolarità negli studi, che misura la capacità di concludere il corso di laurea nei tempi previsti dagli ordinamenti. Se nel 2010 concludeva gli studi in corso il 39,0% dei laureati, nel 2020 la percentuale raggiunge il 58,4%. Più in particolare abbiamo: il 64,3% tra i magistrali biennali, il 57,7% tra i laureati di primo livello e il 48,6% tra i magistrali a ciclo unico. Tra gli indicatori di cui gioire, anche un dimezzamento della quota dei fuoricorso cronici: se dieci anni fa a terminare gli studi con quattro o più anni oltre il previsto era il 14,8%, oggi siamo al (7,6%). Certo, su questo punto non è tutto oro quello che luccica: l'aumento dei laureati 'in corso' è in parte frutto della proroga della chiusura dell’anno accademico concessa agli studenti proprio per l’emergenza Covid-19.

Più laureate che laureati

Sostanzialmente immutato, invece, il voto medio di laurea: nel 2020 è stato, in media, 103,2 su 110 (nel 2010 era 103,0 su 110). Variazioni apprezzabili, semmai, si osservano se ci si sofferma sui tipi di corso di laurea: 100,1 per i laureati di primo livello, 105,6 per i magistrali a ciclo unico e 108,0 per i magistrali biennali. Una votazione così alta fra i laureati magistrali biennali è spiegabile soprattutto per un effetto di tipo incrementale rispetto alla performance ottenuta alla conclusione del percorso di primo livello: nel 2020 l’incremento medio del voto di laurea alla magistrale rispetto alla laurea di primo livello è di ben 7,6 punti su 110. Confermato, infine, pure il dato che vede le donne laurearsi più degli uomini: nel 2020 le ragazze sono il 58,7% dei laureati; con ovvie oscillazioni a seconda degli ambiti disciplinari.

Dati, quelli appena elencati, che si inseriscono in un trend di generale ripresa per il mondo dell'università: il primo anno dell’era Covid-19 ha visto un evidente incremento delle immatricolazioni (+14 mila matricole rispetto al 2019/20), in linea con quello registrato l’anno precedente. Dunque la perdita di matricole a partire dal 2003/04 si sta progressivamente riassorbendo (ad oggi la contrazione è del 3,2%, ma più accentuata nelle aree meridionali: -18,9%), lasciando intravedere la possibilità di tornare agli anni di massima espansione del sistema universitario. Nell’ultimo anno, tra l’altro, gli atenei del Centro e del Sud sono cresciuti più di quelli del Nord (Nord +2,5%, Centro +7,7% e Sud e Isole +5,0%).

Il background influenza le scelte dei giovani

A resistere, purtroppo, è un sostanziale immobilismo della scala sociale all'interno delle accademie. Anche tra i laureati del 2020, sono sovra-rappresentati quanti provengono da ambienti familiari favoriti sul piano socio-culturale: il 30,7% ha almeno un genitore con un titolo di studio universitario (nel 2010 era il 26,5%). Con il contesto familiare di origine che condiziona pure le scelte formative e professionali: tra chi ha almeno un genitore laureato, il 20,1% dei laureati completa gli studi nello stesso gruppo disciplinare di uno dei genitori (è il 35,5% tra i percorsi a ciclo unico, quelli che portano più spesso alla libera professione).

Decisivo anche il background scolastico: tra i laureati si registra una netta prevalenza di diplomati liceali (75,4%), in particolare di quelli scientifico (41,3%) e classico (14,7%); segue con il 19,5% il diploma tecnico, mentre risulta residuale l’incidenza dei diplomi professionali (2,4%). Una quota, quella dei laureati con un diploma liceale negli ultimi dieci anni, che è aumentata considerevolmente nel tempo, passando dal 68,9% del 2010 al 75,4% del 2020 (+6,5 punti percentuali), in particolare a scapito dei laureati con diploma tecnico, che scendono dal 25,8% al 19,5%.

Neolaureati al tempo del Covid: 1 su 3 rimane disoccupato

Il discorso cambia se si passa a osservare cosa succede dopo il titolo, alla condizione occupazionale di chi esce dall'università. Nel 2020, infatti, si registrano delle comprensibili criticità nell'inserimento nel mondo del lavoro, in particolare per i neo-laureati. Mentre tra i laureati a cinque anni dal titolo – altro campione analizzato da AlmaLaurea - gli effetti della pandemia sembrano non incidere più di tanto. In particolare, tra i laureati intervistati a un anno dal titolo il tasso di occupazione (che include anche quanti risultano impegnati in attività di formazione retribuita) è pari: al 69,2% tra i laureati di primo livello e al 68,1% tra i laureati di secondo livello del 2019. Con un calo, rispetto alla precedente rilevazione, di 4,9 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 3,6 punti per quelli di secondo livello. Con la pandemia che, dal punto di vista lavorativo, sembra aver colpito soprattutto le donne e le aree del Centro-Nord.

A cinque anni dal conseguimento del titolo, invece, nel 2020 il tasso di occupazione è pari all’88,1% per i laureati di primo livello e all’87,7% per i laureati di secondo livello; in calo solo di 0,6 punti percentuali tra i laureati di primo livello e, addirittura, in aumento di 0,9 punti tra i laureati di secondo livello. Occorre però sottolineare, sia per i neolaureati che per quelli di vecchia data, la distinzione tra quanti sono riusciti a trovare lavoro prima dello scoppio della pandemia, potendo contare su un mercato del lavoro tendenzialmente in crescita, e quanti si sono inseriti nel mercato del lavoro in piena pandemia, riscontrando un peggioramento anche rispetto alle caratteristiche del lavoro.

Quelle che si confermano, a prescindere dalla crisi occupazionale, sono le differenze di genere e territoriali. A parità di condizioni, gli uomini - con il 17,8% di probabilità in più di essere occupati a un anno dalla laurea - si riescono a collocare meglio delle donne. E chi risiede al Nord ha un +30,8% di probabilità di essere occupato a un anno dal titolo rispetto a quanti risiedono al Sud).

Laureati e lavoro, piccolo aumento della retribuzione. Tanti in 'smart working'

Capitolo retribuzione: nel 2020 la 'paga' mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.270 euro per i laureati di primo livello e a 1.364 euro per i laureati di secondo livello. In leggero aumento rispetto alla precedente rilevazione: +5,4% per i laureati di primo livello e +6,4% per quelli di secondo livello. A cinque anni dal conseguimento del titolo, invece, la retribuzione mensile netta è pari a 1.469 euro per i laureati di primo livello e a 1.556 euro per quelli di secondo livello; anche a cinque anni dalla laurea si osserva un aumento delle retribuzioni rispetto alla rilevazione dello scorso anno: +4,3% per i laureati di primo livello e +4,0% per quelli di secondo livello.

Da segnalare, infine, l'esplosione dello smart working e delle altre forme di lavoro da remoto anche per i giovani laureati: lo smart working, più diffusamente nella forma di home working, coinvolge nel 2020 il 19,8% dei laureati di primo livello e il 37,0% dei laureati di secondo livello occupati a un anno dal titolo. Con valori decisamente più elevati di quelli osservati nella rilevazione del 2019, quando erano pari al 3,1% per i laureati di primo livello e al 4,3% per quelli di secondo a un anno dal titolo.

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