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Porti e acciaio, asset strategici europei da tutelare | Guarda la ventunesima puntata di "Fatti e Misfatti d'Europa"

L'approfondimento settimanale, realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo, è andato in onda martedì 8 giugno. Ospiti del ventunesimo appuntamento Gianclaudio Torlizzi, Maurizio Casasco e Anna Bonfrisco

Dai porti all’acciaio. L’Europa si trova a dover fare i conti con le mire espansionistiche di quei Paesi, in primis la Cina, che vogliono accaparrarsi i suoi asset strategici. Per evitare il rischio di perdere ancora delle infrastrutture marittime strategiche da un punto di vista commerciale e militare e per la paura che la crisi del settore siderurgico diventi ancora più grave, l’Ue ha alzato fortemente l’attenzione in merito. Nella nuova puntata di "Fatti e Misfatti d’Europa", il programma di Tgcom24 realizzato in collaborazione con il Parlamento europeo, abbiamo provato a fare chiarezza su quello che sta accadendo. Ospiti del ventunesimo appuntamento Gianclaudio Torlizzi, direttore generale T-Commodity, Maurizio Casasco, presidente della Confederazione europea ami e presidente Confapi, e Anna Bonfrisco, europarlamentare della Lega.

Acciaio - Un comparto fondamentale che vede contrapporsi l’Europa alla Cina è quello dell’acciaio, con le esportazioni siderurgiche diminuite nel 2020 causa pandemia, anche se in leggera ripresa nel 2021. Una filiera duramente colpita dall’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prima. E una Cina che ha già recuperato il gap e domina di gran lunga la produzione mondiale.

La crisi delle materie prime - Il comparto delle materie prime ha registrato, a partire dal secondo trimestre del 2020, un drammatico aumento dei prezzi, sia dal punto di vista degli acciai sia di tutta una serie di altri semilavorati. Basti pensare che il minerale del ferro ha subito un aumento del 70% rispetto ai livelli pre Covid. Con la conseguenza che sono aumentati anche i livelli e i prezzi dei semilavorati. 

Produzione siderurgica Ue - Per quanto riguarda il mercato europeo, è stato avvertito tantissimo il calo delle attività produttive. In lockdown, la produzione siderurgica complessiva è passata da 150 milioni di tonnellate del 2019 a 132 nel 2020. Per quanto riguarda, invece, il mercato italiano, in questo caso pesa in particolar modo la riduzione della capacità produttiva dello stabilimento dell’Ilva che è passato da 8 milioni di tonnellate nel 2012 agli attuali 3,3. Un calo che ha contribuito a comprimere di conseguenza la produzione siderurgica italiana che è passata da 27 milioni di tonnellate alle attuali 20,20. 

A tutela dell’industria siderurgica, l’Unione europea ha dato vita a misure di salvaguardia che dovrebbero tutelare le imprese europee che operano nel settore dell’acciaio, ma che sono state criticate dagli analisti. “L’Ue esce indebolita da questa stagione politica ed economica e, dopo il Covid, si trova di fronte una nuova economia come quella americana fortemente sostenuta dall’intervento pubblico. Per non parlare di quella cinese, da sempre sostenuta dall’intervento pubblico. Reggere la concorrenze con le loro imprese è impossibile. E l’Europa se n’è accorta troppo tardi”, spiega Bonfrisco.

“Il mondo dell’acciaio in Europa, in particolare il mondo della trasformazione - quindi le imprese che comprano acciaio per trasformarlo e poi creare dei prodotti per il mercato di largo consumo - è in estrema difficoltà. Una difficoltà che nasce non solo dal rialzo dei prezzi incontrollato, ma anche dalla carenza dell’offerta. Le imprese si trovano, quindi, a non avere il materiale sufficiente per poter poi produrre e questo si sta traducendo in un problematica molto forte sul fronte della produzione, tant’è vero che si stanno iniziando a registrare casi di cassa integrazione non perché non si hanno ordini, ma perché se ne hanno fin troppi”, dichiara Torlizzi.

Questa crisi va a colpire direttamente le imprese europee ed italiane. Basti pensare a quelle che utilizzano intensivamente l’acciaio, come l’automotive, il manifatturiero. “Le aziende purtroppo stanno subendo la crisi - afferma Casasco -. E’ evidente che l’Europa sia schiacciata come un panino tra Asia, cioè Cina, e America. Noi non riusciamo a fare una politica industriale e a interpretare i tempi. Questo aumento dei prezzi si avvertiva dal secondo trimestre del 2020, ma le scelte politiche europee e anche italiane non hanno seguito una strategia industriale che sarebbe dovuta essere conseguente, invece, a quella che era una scelta politica strategica industriale da parte della Cina. A giugno, si deciderà il rinnovo della clausola di salvaguardia. E’ assolutamente necessario che l’Europa la tolga”. 

“Sull’acciaio italiano - aggiunge Bonfrisco -, ha pesato molto la miopia europea ma anche di governi che hanno abbandonato la sfida, pensando fosse una stagione finita. Invece, il risultato del dopo Covid è che quella stagione è tornata a essere determinante per chi vuole mantenere il ruolo di produzione. La famosa seconda manifattura d’Europa, quale è l’Italia, non può restare tale se perde il suo acciaio o l’acciaio che può acquistare. Penalizzare l’acquisto dell’acciaio e contemporaneamente l’Ilva di Taranto vuol dire mettere in ginocchio le imprese italiane”.

Porti cinesi in Europa - E’ anche e soprattutto marittima la via della seta cinese, questo perché Pechino con una serie di investimenti mirati è riuscita negli anni a comprare o a entrare nel capitale di diversi scali ferroviari e marittimi europei. In totale sono 10 e il valore è di 5,6 miliardi di euro. A investire di più è la statale Cosco, che negli ultimi 10 anni ha avviato una vera e propria campagna di acquisti non solo in Europa ma anche nel resto del mondo. Proprio per quanto riguarda quest’ultima l’operazione più importante risale al 2008, quando la Cina ha messo le mani sul porto del Pireo con 35 anni di concessioni in cambio di 4,3 miliardi di euro. Nel 2016, è stato rilevato il 51% dello stesso porto a cui si aggiunge un ulteriore 16% di cui la Cina entrerà in possesso entro la fine di quest’anno. In Italia, il porto cinese per eccellenza è quello di Vado Ligure, il cui quasi 50% appartiene alla Cosco, il valore complessivo investito è 53 milioni di euro. 

Secondo Bonfrisco, “all’Unione europea non è ancora sufficientemente chiaro che la strategia dei porti si gioca prevalentemente nel Mediterraneo, dove c’è la necessità che l’Italia continui o riprenda a giocare un ruolo importante. Per noi dovrebbe essere fondamentale sviluppare politiche industriali attraverso una logistica intermodale che ha nel porto il primo approdo importante. E non c’è una visione europea condivisa per i porti del Mediterraneo. Finora, abbiamo visto solo iniziative utili e interessanti per i porti del Nord. La leadership nel Mediterraneo è una questione economica ma anche geopolitica. Ecco perché Cina e Turchia spesso si muovono insieme. E noi dovremmo pensare a questo pericolo. Ma l’Ue non ha ancora capito il pericolo”.

“Le imprese chiedono di poter avere una politica europea e un’autosufficienza di produzione. Dobbiamo costruire un continente vero e unico. O ragioniamo come Europa - e possiamo farcela - o saremo sopraffatti e conquistati. Dobbiamo pensare di riportare in Europa le produzioni e le aziende strategiche, per dipendere sempre meno dagli altri. E non portare capitali in altri Paesi come la Cina”, conclude Casasco.