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Italiano in carcere in Sudan: la Farnesina invia un funzionario a Karthoum

Marco Zennaro, imprenditore veneto, è stato incarcerato ad aprile in seguito a quella che inizialmente sembrava una banale disputa commerciale. Le allusioni dei carcerieri a Regeni

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Il direttore generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie della Farnesina, Luigi Vignali, sarà in Sudan lunedì 31 maggio  per una missione di due giorni a Khartoum incentrata sulla vicenda di Marco Zennaro. Il nostro connazionale, incarcerato in Sudan dopo una controversia commerciale. A sollecitare l'intervento del ministero, nei giorni scorsi, erano stati diversi parlamentari veneti di tutti gli schieramenti.

Zennaro, 46 anni, amministratore unico della veneziana Zennaro Trafo, a metà marzo era volato nel Paese africano per risolvere una "grana" relativa a una partita di trasformatori elettrici, che la controparte commerciale locale aveva giudicato non conformi al contratto. All'imprenditore, però, appena giunto in Sudan era stato sequestrato il passaporto e gli era stata notificata una denuncia per frode: piantonato in albergo, per due settimane aveva atteso la conclusione della vicenda, che sembrava finita con il pagamento di 400mila euro.

Il primo aprile, dopo essere uscito dal commissariato di polizia locale, mentre si stava apprestando a rientrare in Italia, il nostro connazionale era però stato nuovamente fermato e portato in cella senza ricevere formalmente alcuna spiegazione: ancora oggi né lui né il suo avvocato sanno il motivo del fermo. E pochi giorni fa Zennaro, attraverso il suo legale, ha lanciato un appello: "E' arrivata la sentenza, ho visto la libertà, e poi invece mi hanno portato dentro e sono ripiombato in questo incubo. Per favore portatemi a casa, venitemi a prendere".

La vicenda è particolarmente ingarbugliata: i trasformatori oggetto del contendere erano stati venduti alla società elettrica sudanese per mezzo di un intermediario, Ayman Gallabi, che dopo la fornitura aveva contattato Zennaro per contestargli la regolarità della partita, apparentemente non a norma con i requisiti tecnici richiesti dal capitolato d'appalto. L'imprenditore, per risolvere il problema, aveva preso un aereo ed era volato in Sudan: dopo aver contestato i test secondo i quali i suoi trasformatori erano fuori norma, aveva comunque deciso di pagare 400mila euro in cambio del ritiro della denuncia per frode.

Il nuovo arresto ad aprile, invece, sarebbe avvenuto per ordine di Abdallah Ahamed, un uomo del generale Mohamed Hamdan Dagalo, vicepresidente del Consiglio militare di transizione dopo il colpo di stato sudanese del 2019: sarebbe stato infatti Ahamed il vero cliente che, attraverso l'intermediazione di Gallabi (nel frattempo trovato morto annegato nel Nilo), c'era dietro l'acquisto della partita di trasformatori. E infatti, sebbene formalmente all'imprenditore italiano non sia stata mossa alcuna accusa e non sia stata avanzata alcuna richiesta, dietro il nuovo arresto ci sarebbe la pretesa di Ahmed di avere altri 700mila euro di risarcimento per i trasformatori giudicati non idonei. 

E anche se il procuratore generale di Karthum pochi giorni fa ha disposto la liberazione di Zennaro, perché il nostro connazionale non ha commesso alcuna frode e Ahamed non può accusarlo di nulla dato che con lui non aveva un rapporto commerciale diretto, l'imprenditore resta in carcere. E in un Paese nel quale il potere, anche se nominalmente dopo il colpo di Stato è ora in corso una transizione democratica, è ancora di fatto in mano alle milizie, è chiaro che risulta difficile far valere un diritto in contrasto con quello dei potenti di turno. E intanto, secondo il Corriere della Sera, i carcerieri dell'imprenditore lanciano minacciose allusioni: "Regeni, Regeni, paga!".

Così, dopo la sentenza e la mancata liberazione di Zennaro, in Italia ha iniziato a muoversi anche la politica: i deputati e i senatori veneti della Lega hanno presentato al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, un'interrogazione sulla vicenda, denunciando il fatto che "l'imprenditore veneziano continua ad essere detenuto in un carcere del Sudan in condizioni disumane e senza nemmeno una motivazione ufficiale". Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha fatto sapere di aver "avuto più interlocuzioni con il ministro Di Maio" e di averlo "trovato disponibile ma anche informato" sul caso.

E assieme a loro, Nicola Pellicani, deputato veneziano del Pd, che lavora insieme alla famiglia per risolvere la vicenda, ha fatto sapere come appaia "sempre più evidente che non siamo in presenza di una disputa commerciale ma di un vero sequestro di persona, che chiama in causa anche il rispetto dei diritti umani". casa”. E assieme a Pellicani, anche Piero Fassino e Antonio De Poli hanno rivolto a Di Maio un appello per un intervento del governo sulla vicenda.

Appello che Di Maio ha accolto con la decisione di inviare Vignali a Karthoum "per ulteriori colloqui". Il direttore generale, fa sapere la Farnesina, "incontrerà rappresentanti delle autorità locali, effettuerà un'ulteriore visita consolare al connazionale e incontrerà i suoi familiari e il suo legale presenti in Sudan". Con l'obiettivo dichiarato di "sensibilizzare
le competenti autorità sudanesi sulla necessità di una rapida definizione della posizione del cittadino italiano e richiedere la loro collaborazione nel miglioramento delle condizioni di detenzione, nell'attesa di una auspicabilmente rapida conclusione della vicenda".

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