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Cassazione: "Dare del 'frocio' è sempre diffamazione"

Gli ermellini hanno confermato la condanna nei confronti di un imputato transessuale che aveva utilizzato la parola su Facebook. La difesa sosteneva, invece, che "avrebbe ormai perso, per l'evoluzione della coscienza sociale, il carattere dispregiativo"

Per la "stragrande maggioranza degli italiani" riferirsi a qualcuno definendolo "frocio" equivale a una diffamazione. Inoltre, non si può sostenere che la "coscienza sociale" è cambiata e accetta di buon grado questo epiteto come se non avesse alcun "carattere ingiurioso". Questo il parere della Cassazione, che ha confermato la condanna per diffamazione nei confronti di un imputato transessuale processato dalla Corte di Appello di Milano.

La vicenda - Su Facebook, l'imputato che vive ed esercita la "propria attività" a Milano, aveva sostenuto che un politico locale era un omosessuale e di aver intrattenuto con lui "un rapporto sessuale", sempre su Fb lo aveva chiamato "frocio" e “schifoso". Il destinatario si era risentito ed era passato a vie legali. Senza successo, dopo le condanne di primo e secondo grado, l'imputato ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che le parole usate "avrebbero ormai perso, per l'evoluzione della coscienza sociale, il carattere dispregiativo”.

La sentenza - Ma gli ermellini - sentenza 19350 della Quinta sezione penale - non sono stati dello stesso parere. "Le suddette espressioni - afferma la Suprema Corte - costituiscono invece, oltre che chiara lesione dell'identità personale, veicolo di avvilimento dell'altrui personalità e tali sono percepite dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana, come dimostrato dalle liti furibonde innescate, in ogni dove, dall'attribuzione delle qualità sottese alle espressioni di cui si discute e dal fatto che, nella prassi, molti ricorrono, per recare offesa alla persona, proprio ai termini utilizzati dall'imputato". Così il ricorso della difesa dell'imputato è stato dichiarato inammissibile con condanna anche a versare tremila euro alla Cassa delle ammende.

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