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Dopo Verona anche a Roma il caso del gatto con la testa incastrata in una bottiglia: è caccia ai responsabili

Nella Capitale il felino è stato salvato dalla sua prigione in plastica dopo nove giorni. E' allarme tra i volontari che si occupano di randagi

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Un primo caso ad agosto a Verona, per fortuna a lieto fine; un secondo, a settembre, a Roma, anch'esso conclusosi nel migliore dei modi. Ma cresce l'allarme tra i volontari delle associazioni animaliste: chi è capace di infliggere una simile tortura a un gatto? Eh sì, perché anche nella Capitale un randagio è stato prima avvistato e poi liberato a distanza di almeno nove giorni dalla prigione in plastica nel quale mani ignote lo avevano incastrato. Pure lui aveva la testa infilata in una bottiglia: condannato a morte, dunque, senza possibilità di nutrirsi e con poca di respirare. Ora è caccia ai colpevoli.

Dopo Verona anche a Roma gatto con la testa infilata nella bottiglia: mobilitazione per salvarlo

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I fatti Dopo la prima segnalazione di questo gatto che, terrorizzato, si aggirava per le strade a Nord di Roma con la testa incastrata in una bottiglia di plastica, è subito scattata la mobilitazione per salvarlo.

Alcuni volontari dell'associazione animalista Earth si sono immediatamente messi sulle sue tracce: il felino, infatti, appartiene a una colonia regolarmente censita in via Misurina.

Mani ignote gli avevano infilato la testa dentro una bottiglia di plastica, assicurandola attorno al collo con del nastro adesivo, che, però, l'animale è riuscito a togliere, potendo così respirare. Dopo giorni di appostamenti, gli animalisti sono riusciti a sfilare quella crudele trappola dalla testa e a ridare la libertà al gatto, subito fuggito dopo il salvataggio.

"Non siamo riusciti a trattenerlo, - ha raccontato a La Repubblica uno dei volontari protagonisti dell'impresa, - ma, malgrado tutto, sembrava in buona salute e le gattare che lo accudiscono gli hanno lasciato in giro acqua e cibo: confidiamo nel suo istinto".

"I responsabili siano identificati e puniti" "Quanto accaduto - commenta a La Repubblica Emanuela Bignami, responsabile randagismo per Animalisti Italiani, - è segno rivelatore di una pericolosità sociale diffusa, che seguita, purtroppo, a essere sottovalutata dalle istituzioni".

"Chiediamo - è l'appello - che i responsabili di questo gesto atroce siano individuati e messi pienamente di fronte alle proprie responsabilità. Qualora dovesse trattarsi di minori, naturalmente, le implicazioni di un'azione che avrebbe condannato un gatto a una lenta e atroce agonia coinvolgerebbero anche le famiglie. Chiunque abbia informazioni utili per risalire ai colpevoli si faccia avanti".

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