In attesa del Consiglio dei ministri convocato per lunedì 30 settembre, che dovrà approvare la Nota di aggiornamento al Def, resta insoluto il nodo dell’aumento dell’Iva. Il governo giallorosso cercherà di evitare che il macigno di 23 miliardi di imposte, effetto delle clausole di salvaguardia, si abbatta sull’economia del Paese. Le ipotesi in gioco sono diverse, le più probabili sono il riordino delle aliquote Iva e l’introduzione di agevolazioni per chi utilizza il pagamento elettronico.
Gli accordi con l’Unione europea La progressione delle aliquote Iva, previste dalla legge di Bilancio e dagli accordi con l’Unione europea, prevede che l’attuale aliquota agevolata al 10% cresca all’11,5%, fino ad arrivare al 13% nel 2020; quella ordinaria del 22% aumenterebbe al 24,2%. Senza misure alternative, l’attivazione delle temute clausole di salvaguardia, porterebbe l’aliquota ordinaria a toccare nel 2022 la quota record del 26,5%.
Rimodulazione delle aliquote Il premier Giuseppe Conte ha ribadito diverse volte “l’impegno solenne di disattivare le clausole di salvaguardia”, annunciando che il governo “sta lavorando a qualche modulazione, ma con beneficio per gli italiani”. L’ipotesi ventilata è quella di lasciare ferma l’Iva al 4% e quella al 22% ma alzare quella del 10% fino al 13%. I beni e i servizi che in questo caso sarebbero sottoposti a rincaro sono: alberghi, voli aerei e treni interni, servizi di ristorazione e bar, energia elettrica e gas metano per uso domestico, farmaci, costruzione di seconde case e ristrutturazione edilizia, spettacoli teatrali e circensi, alcuni prodotti alimentari (carne, pesce, salumi, yogurt, uova, surgelati, pasticceria, cacao, marmellate e caramelle). Un’altra ipotesi è quella di far passare alcuni di questi beni all’aliquota del 22% e abbassarne altri a quella del 4%. I dettagli non sono ancora chiari, ma sembra che siano i prodotti e servizi attualmente soggetti al 10% quelli che subiranno dei cambiamenti.
Il cashback per prevenire l’evasione fiscale Sempre a questa categoria potrebbe essere applicato un meccanismo ideato per scoraggiare l’uso del contante e far emergere l’evasione fiscale. Dovrebbe funzionare in questo modo: chi paga in contanti versa un’Iva più alta, probabilmente del 12%; coloro che invece saldano con la carta di credito o bancomat, al momento versano sempre un’Iva del 12%, ma nell’estratto conto del mese successivo si vedranno rimborsare il 3%. Le percentuali sono ancora da definire, ma in ogni caso lo Stato ci guadagnerebbe: l’incentivo al pagamento elettronico dovrebbe far emergere l’evasione fiscale.