Perché il gameplay di The Last of Us: Parte 2 deve essere funzionale
Insieme a Rockstar, Naughty Dog è la software house che ci ha narrato le migliori storie attraverso i videogiochi. Il suo nuovo progetto merita un gameplay all'altezza del racconto
Adoro il modo di raccontare di Naughty Dog. Sia con la saga di Uncharted che con il primo The Last of Us la software house californiana ha dato prova di avere grandissime capacità narrative.
Credo sia la loro più grande qualità, insieme alla capacità di sfruttare al massimo le piattaforme su cui lavorano, per tirarne fuori giochi tecnicamente quasi impeccabili e graficamente sensazionali, sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza, nel periodo di riferimento.
Certo, fondamentalmente i loro giochi sono sempre molto lineari, ma questo è assolutamente un bene per il tipo di esperienza che generalmente Naughty Dog va a proporre. Con la saga di Uncharted abbiamo vissuto avventure coinvolgenti ed evocative, piene di momenti adrenalinici, e lo abbiamo fatto proprio grazie a un ritmo a volte serrato, a volte più rilassato, in ogni caso sempre deciso dalla scrittura e mai lasciato (mai troppo, almeno) in mano al giocatore.
È questo che ha reso sensazionale la serie. Ed è questo che ha reso speciale anche il primo The Last of Us, dove lo stile di scrittura del creative director
Neil Druckmann, che si basa su una filosofia per me adorabile ("storie semplici con personaggi complessi"), ha trovato una strepitosa applicazione.
Ci sono giochi dove la trama conta meno, a volte anche poco o niente, mentre il gameplay è più importante, o è la struttura di gioco a prendere il sopravvento. I giochi di ruolo a mondo aperto o i giochi d’azione in cui bisogna padroneggiare il sistema di combattimento o gli sparatutto in cui sono abilità e riflessi a essere protagonisti sono tutti validi esempi di generi che possono dare vita a fantastici giochi.
Ma i prodotti di Naughty Dog, almeno da Uncharted in avanti, seguono una filosofia diversa, prediligono la storia, l’approfondimento narrativo dei personaggi, il ritmo del racconto. E vanno benissimo così.
Per quanto io sia un videogiocatore molto più incline a valorizzare gameplay e struttura di gioco, subisco comunque fortemente il fascino dei giochi più "narrativi" e, in questo campo, quelli di Naughty Dog sono tra i migliori in assoluto. In particolare,
il primo The Last of Us è sicuramente la più bella storia "di zombie" che abbia mai vissuto, tra tutti i media: cinema, fumetto, televisione, videogioco. Forse alla pari di The Walking Dead (il fumetto).
Per questo motivo, da
The Last of Us: Parte 2, di cui è stata ufficializzata la data d’uscita (21 febbraio 2020) proprio in questi giorni, voglio fortemente che il gameplay sia funzionale alla narrazione. Visto che non è mai stato il punto di forza dei giochi Naughty Dog, è importante che non risulti troppo invadente e faccia più che altro da supporto al racconto, al ritmo che Druckmann e soci decideranno di dare alla storia di Ellie (e di Joel?) e del mondo post-apocalittico in cui si svolgeranno le vicende.
Spero quindi vivamente che la possibile voglia di provare qualcosa di più, qualcosa di nuovo, in ambito gameplay, non porti Naughty Dog a intaccare quell’equilibrio necessario a far funzionare nel migliore dei modi il loro ormai classico modello di videogioco narrativo.
Questo perché, ripeto, se The Last of Us è stata la mia storia "di zombie" preferita, voglio assolutamente che The Last of Us: Parte 2 la superi in qualità ed esperienza complessiva.
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