“Sono l’essere che ama di più la vita. Ma la dignità, dal mio punto di vista, fa parte della vita. Una vita dignitosa è un mio diritto e lo Stato non può negarmela”. Così Gustavo Fraticelli, afflitto da tetraparesi spastica, commenta in un’intervista al Messaggero la sentenza della Corte costituzionale sul suicidio assistito. Il 54enne, che da vent’anni non cammina più e fatica a parlare, si batte per una legge che regoli l’eutanasia. E’ stato rinviato a giudizio per istigazione al suicidio: nel 2017 aveva aiutato a morire Davide Trentini, affetto da sclerosi multipla.
Gustavo ha sempre lottato per essere autonomo, si è laureato e ha lavorato. “Per me la vita è sacra. E proprio per questo penso che quando non sia più tale e si trasformi unicamente in sofferenza, debba essere interrotta. Ho una disabilità pesante, aggravata dall'età, so che non potrò migliorare, ma dopo avere tanto lottato per la mia autonomia, non credo vorrò più vivere quando l'avrò persa. Chiederò il suicidio assistito”. Spera, ora che la “Corte costituzionale ha aperto la strada a una legge adeguata”, in un rapido intervento del Parlamento.
Come Marco Cappato e Mina Welby, Gustavo Fraticelli è stato rinviato a giudizio per istigazione al suicidio. Nel 2017, con l'associazione Sos eutanasia, ha aiutato a morire Davide Trentini, che dal ‘93 era affetto da sclerosi multipla. Dopo la sentenza della Corte costituzionale, è probabile che il Tribunale di Massa dichiari chiuso il processo.
“Un disabile immobile e non vedente, spesso neppure cosciente, possiamo definirlo vivo? Il cardine di questa vicenda è che se io esercito una scelta - conclude Gustavo - che è mia prerogativa, non danneggio gli altri, ma rispondo unicamente alla mia dignità personale”.