Ambizione. Se c'è un termine che può descrivere, in solitudine, l’edizione 2019 di Pordenonelegge, è senz’altro "ambizione". In primo luogo, quella degli organizzatori. Bastino le parole del direttore artistico Gian Mario Villalta: "E' una manifestazione che vuole portare al Triveneto un progresso culturale pari aquello economico". Non di meno, quella dei molti autori accorsi a incontrare il proprio pubblico, in cinque giorni ricchi di eventi, parole e gastronomia. Tra questi, l’apprezzato intellettuale marocchino (parigino d’adozione) Tahar Ben Jelloun, che racconta del suo ultimo libro, "Insonnia", (La Nave di Teseo). La storia, cioè, di un omicida che, come il suo autore, non concede proprio nulla al politicamente corretto.
Ben Jelloun, il protagonista del suo libro cura la propria insonnia uccidendo. Una domanda inevitabile: perché? Cosa gli dà sollievo nel far morire gli altri?
"Prima di tutto, comincia con l’uccidere persone che hanno già un piede nella fossa. Le aiuta ad andarsene. All'inizio, quindi, presta un servizio sociale. Poi, comincia a uccidere in maniera politica e utile, eliminando persone che guastano la vita altrui: protettori, pedofili, mafiosi, ecc. Ne trae benefici, perché, in quel modo, riesce a dormire bene. E' un fenomeno che lui non sa spiegare, ma è così".
Eppure, la storia della letteratura ci ha raccontato una versione diversa: che l'omicidio, qualunque sia la motivazione, toglie il sonno; non lo restituisce di certo. E' cambiato qualcosa?
"Sì, ho preso Dostoevskij in contropiede. L’ho letto anch’io da giovane, come tu;. Ma io tratto il problema serio in maniera leggera. Non bisogna prendermi alla lettera, altrimenti c’è da diventare pazzi".
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A proposito di lei: il protagonista-assassino è uno sceneggiatore. Fargli fare lo scrittore avrebbe aperto al rischio di interpretazioni autobiografiche?
"Uno sceneggiatore e uno scrittore sono la stessa cosa. Il primo deve raccontare storie che abbiano la possibilità di finire al cinema. Siccome amo molto il grande schermo, ho scelto quel tipo di personaggio".
Le chiedo, allora, di abbandonare l’immedesimazione e di diventare giudice della sua creatura. Come la considera? Un criminale? Un egoista? Un vendicatore? Un filantropo?
"Direi un povero diavolo, che non sa bene quello che fa. Sul piano morale è certamente condannabile, ma nel libro la morale non c'è. Ed è meglio così: sarebbe stucchevole. Il personaggio funziona perché la storia non è realistica, ma metaforica. L’intero romanzo non è altro che il set di un film, che il protagonista avrebbe potuto un giorno realizzare".
Se dovesse "geolocalizzare" l'etica di questo antieroe, come la definirebbe: araba, mediterranea o più semplicemente umana?
"Più che altro mediterranea, perché vuole aiutare le persone anche se queste il suo aiuto non vogliono". (Ride, ndr)
Un aspetto interessante è che le sue prime vittme sono, come si è detto, persone malate o comunque fragili. Eugenetica o scelta del male minore?
"C’è, di fondo, una sensibilità per la morte in condizioni di dignità. Ci ho messo l’idea che le persone non debbano passare gli ultimi mesi, o anni, soffrendo inutilmente".
Un tema forte: cosa frequente nella letteratura araba contemporanea, che ha acquisito una rilevanzasempre maggiore anche in Europa. E' questa la ragione del suo successo?
"Io non penso che la letteratura araba abbia l’accoglienza che merita. In Francia vengono pubblicati una ventina di titoli all’anno. Nell’intera Francia! E' molto poco. Gli scrittori anglosassoni tradotti sono centinaia e centinaia. Si può fare decisamente meglio".
A proposito di letteratura: in un mondo ormai dominato dalle immagini, si legge sempre meno. Roba da far venire l'insonnia a uno scrittore, non crede?
"E' un grosso problema. Io vado nelle scuole per incitare i ragazzi a leggere…
C'è qualcos’altro che merita di farci perdere il sonno?
"Guardi, se dovessimo riflettere sull'avvenire del mondo non dormiremmo proprio. Il cambiamento climatico, le catastrofi annunciate, i dittatori, le aberrazioni democratiche come Trump e Bolsonaro. Ce n'è di materiale".