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Incendio in una ditta di cannabis light, ipotesi di lavorazioni illegali all'interno

Il proprietario, gravemente ferito, in passato ha avuto guai con la droga. L'operaio, che ha riportato ustioni meno gravi, è imparentato con il clan calabrese che in passato gestiva il business dello spaccio

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Il terribile incendio scoppiato, venerdì, nella ditta che lavora cannabis light a Trezzano sul Naviglio (Milano) sarebbe stato alimentato dall'uso di butano all'interno. I vigili del fuoco, dopo aver domato le fiamme, infatti, hanno trovato un enorme quantità di bombolette spray di quel gas, che viene di solito usato per l'estrazione di olio di cannabis. L'azienda è in regola con i permessi, ma ora si indaga per capire se fosse usata come "raffineria".

Il butano è la sostanza che viene usata negli accendini ed è usata per estrarre l'olio di cannabis light, che viene commercializzato nei punti vendita e presso i tabaccai. Ma grazie al gas può essere estratto anche il Bho, un estratto di cannabis concentrato che può arrivare a livelli di Thc superiori all'80%. A rimanere coinvolti nell'incendio due fratelli giovanissimi proprietari della fabbrica: 20 e 26 anni, Sergio e Giuseppe Palumbo, che lavoravano all'interno; il più anziano figura come titolare legale e ha avuto in passato guai con lo spaccio.

I due hanno anche cercato di spegnere le fiamme con una estintore, senza riuscirci: quando il fuoco ha raggiunto i loro vestiti hanno dovuto allontanarsi e uscire. Nel frattempo però le fiamme li avevano avvolti completamente: sembravano " torce umane", hanno raccontato alcuni testimoni. Più grave il 26enne che ha riportato ustioni di terzo grado su tutto il corpo ed è stato soccorso dal 118 con un elicottero, per poi essere portato all'ospedale San Gerardo di Monza in codice rosso. Ustioni di secondo grado e una frattura del femore per il fratello più giovane, che si trova invece al Niguarda.

Leggermente ferito anche un operaio, amico dei due, che si trovava nella ditta al momento dell'incendio: si tratta di un 66enne, che non ha mai avuto problemi con la giustizia ma è imparentato con un clan calabrese operante negli anni 80 e 90 nel businnes dello spaccio della cocaina e dei sequestri di persona.

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