Dopo gli attacchi alle raffinerie saudite di Saudi Aramco e l'annuncio di Trump sull'uso delle riserve petrolifere strategiche americane, il prezzo del petrolio schizza alle stelle. A New York in chiusura è scambiato a 62,9 dollari al barile (+14,8%). A Londra il prezzo del Brent ha registrato il più grande avanzamento della storia, chiudendo con un rialzo del 14,6%.
L'Arabia Saudita è il maggiore esportatore mondiale di petrolio e gli attacchi nel fine settimana contro due strutture strategiche, hanno ridotto la produzione di 5,7 milioni barili al giorno, quasi la metà della produzione del Paese, ovvero l'equivalente del 5% del consumo giornaliero mondiale, rappresentando così il più grande danno determinato da un singolo evento per i mercati petroliferi. La perdita è infatti superiore ai 5,6 milioni persi nel 1979 con la rivoluzione iraniana e dei 4,3 milioni di barili persi nel 1990 quando l'Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait e nel 1973 in occasione della guerra del Kippur tra Israele e Paesi arabi.
Nel clima di tensione che si è creato, la Cina ha invitato alla moderazione Stati Uniti e Iran, che "respinge categoricamente" le accuse americane di coinvolgimento negli attacchi, ufficialmente rivendicati dai ribelli yemeniti alleati dello Repubblica islamica. La portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha definito "non molto responsabile" accusare altri "in assenza di un'indagine o verdetto definitivo. "La posizione della Cina - ha dichiarato Hua in conferenza stampa - è che ci opponiamo ad ogni azione che possa ampliare e intensificare il conflitto".