Sono stati creati a Cremona gli embrioni che costituiscono l’unica speranza di salvezza per il rinoceronte bianco settentrionale, una specie africana altrimenti destinata all’estinzione. Il merito è del professor Cesare Galli e dell’Università di Padova, che hanno collaborato al progetto scientifico internazionale BioRescue. “Gli embrioni sono stati ottenuti fecondando gli ovuli delle ultime due femmine ancora in vita con lo sperma di esemplari maschi ormai deceduti”, spiega il professor Galli.
Da quanto tempo il laboratorio di cui è amministratore delegato lavora a questo progetto?
"Ci occupiamo di questo progetto da diversi anni. Inizialmente abbiamo considerato la specie del rinoceronte bianco del sud: sono stati prelevati 30 ovociti dalle femmine, fecondati poi con lo sperma degli esemplari maschi della specie compatibile del nord. Ora la specie meridionale non è più in via di estinzione e ci siamo quindi concentrati sull’altra. Le due femmine della specie settentrionale sopravvissute, Najin e Fatu, non sono in grado di portare a termine delle gravidanze a causa di alcuni problemi di salute. Ad agosto sono stati prelevati da loro degli ovociti che sono stati fecondati con lo sperma congelato dei maschi della stessa specie. La creazione di questi embrioni è un passo molto importante perché è la prima volta che ha successo un tentativo di fecondazione assistita su questa specie di mammifero di grosse dimensioni".
Quali sono i prossimi traguardi nel percorso di salvaguardia del rinoceronte bianco settentrionale?
"Questi due embrioni sono solo l’inizio, non sono sufficienti a scongiurare il pericolo di estinzione. Continueremo ad andare in Kenya per effettuare trapianti e prelevare ovociti dalle femmine, in modo da avere una maggiore sicurezza per il futuro".
E’ la prima volta che effettuate questo tipo di sperimentazione?
"La nostra équipe ha lavorato in situazioni analoghe effettuando fecondazioni assistite su bovini, suini e su un altro tipo di rinoceronte, quello di Sumatra. Questa specie è particolarmente a rischio perché da decenni è presa di mira dai bracconieri asiatici, allo stesso modo dei loro “cugini” che vivono in Kenya".