A undici anni dalla sua morte, arriva in Italia una nuova opera di Aleksandr Solženicyn, lo scrittore russo, autore di "Arcipelago Gulag" e premio Nobel per la letteratura nel 1970. "Ritorno in Russia. Discorsi e conversazioni (1994-2008)" (a cura di Sergio Rapetti, introduzione di Ermolaj Solženicyn, ed. Marsilio Editori, pp.329, 22 euro) raccoglie le riflessioni dell'autore nei suoi ultimi anni di vita, quando, dopo venti anni d'esilio, rientra nella sua amata madrepatria, dalla quale era stato allontanato nel 1974 per il suo dissenso con il governo sovietico. "La possibilità di ritornare in patria era per Solženicyn la sola cosa che poteva colmare di senso la vita di ogni emigrante" spiega Sergio Rapetti, traduttore e curatore di "Ritorno in Russia", intervistato da Tgcom24.
Quando si è avvicinato allo studio di Solženicyn?
Io sono nato in Italia, ma per parte di madre sono russo, sono cresciuto in un ambiente russofono. Lavoravo a Milano come redattore editoriale proprio quando in Russia ferveva il "samizdat" (l’editoria autoprodotta) e mi sono fatto promotore di alcuni dei più notevoli libri di quella irripetibile stagione. Poi nel 1974, pochi mesi dopo l'espulsione dall'URSS, ho incontrato Solženicyn a Zurigo. Fu lui a chiedere all'editore Mondadori, che pubblicava in Italia i suoi testi, di farmi curare le sue opere in preparazione.
Come ricorda il suo incontro con Solženicyn?
Solženicyn è spesso descritto come un "profeta corrucciato" o come una persona intrattabile. Io invece ricordo la gentilezza con la quale sono stato ricevuto, la sua simpatia e cordialità. Era un uomo alla mano, che amava le cose semplici.
"Ritorno in Russia", che immagine di Solženicyn restituisce quest'opera?
Il "ritorno in patria" era stato sempre visto da Solženicyn come una prospettiva certa, era infatti sicuro di sopravvivere a quel regime che l’aveva espulso con l'infamante accusa di traditore della patria. E così è stato. Di questa sua "convinzione irrazionale" aveva subito cominciato a parlare, fin da quel lontano 1974 della sua cacciata, in interviste e interventi e poi ne aveva scritto nei "Diari dell’esilio americano". Il costante, instancabile riferimento alla patria per lui aveva significato prepararsi a tornare senza esserne divenuto estraneo, e questo mediante l’accanito lavoro letterario che gli consentiva di rimanere, quotidianamente e per sempre, ad essa legato. Quando però nel 1994 potè tornare in Russia, cercò subito di ristabilire un rapporto con i suoi connazionali.
Quali sono i principali temi che l'opera riporta in luce?
Il libro "Ritorno in Russia" presenta testi, conversazioni e discorsi relativi ai primi due mesi di viaggio dello scrittore nella nuova Russia ma anche agli ultimi suoi anni di vita, una selezione che illumina in modo significativo le sue idee e intendimenti.
Quale Russia aveva lasciato Solženicyn e quale patria ha invece ritrovato?
Nella Russia che aveva lasciato, il dissenso aveva coniato lo slogan «così non si può più vivere», che sarebbe stato ripreso addirittura da Gorbačëv per stigmatizzare un regime che in realtà era anche il proprio. Solženicyn, che di quel regime era sempre stato fiero oppositore, ha motivo di nutrire per la Russia ritrovata qualche speranza: l’abolizione del partito guida e della censura, la piena libertà di ricerca storica, di viaggiare all’interno e all’estero, una sia pur sempre insidiata libertà dei mezzi di informazione. Continuerà, sempre, fino all’ultimo a sperare in una completa guarigione della sua terra.
Qual era l'opinione di Solženicyn su Putin?
Al suo ritorno Solženicyn ha messo al primo posto tra le emergenze del suo paese, quella della povertà e ha visto nella protezione del popolo il più importante e impellente compito dei governanti. Se Putin può aver emendato, riscuotendo l’approvazione di Solženicyn, la linea subordinata e rinunciataria della politica di Gorbačëv e tanto più di El’cin nei confronti dell’Occidente, non ha però fatto quanto doveva per far emergere tantissimi cittadini ex sovietici (circa un terzo della popolazione) dallo stato di irrimediabile povertà nel quale versavano. "Chi non ha i mezzi per sfamare la propria famiglia non può essere un uomo libero" sosteneva lo scrittore. Se fosse vissuto abbastanza, sono sicuro che Solženicyn avrebbe intrapreso anche un'ultima battaglia contro Putin.
Solženicyn può definirsi un conservatore?
Lo definirei un patriota del suo paese, del suo popolo e della sua cultura e questo certo, presuppone in una certa misura, la conservazione di quei valori fondativi che si vorrebbero preservare non solo dalle mode e dal naturale decadimento ma anche dalle rivoluzioni che ne fanno programmaticamente tabula rasa. Solženicyn era però strenuamente antirivoluzionario perché ha constatato i guasti della rivoluzione ovunque volgesse lo sguardo. Nei valori da preservare non c’è mai stato per lui l’istituto monarchico e anzi lo scrittore ha attribuito la prima e maggiore responsabilità per la catastrofe che si è abbattuta sulla Russia nel 1917 sull’inetto zar Nicola II.
Quanto può essere importante leggere quest'opera oggi?
Con "Ritorno in Russia" il lettore può comprendere meglio circostanze e modalità della transizione, sofferta e tutt'altro che conclusa, dall'impero sovietico all'attuale Federazione russa. Quanto all'autore stesso, grazie a quest'opera si potrà apprezzare un aspetto che lo rende unico: le sue opere e le stesse vicende, rovesci e fortune, della sua vita ne fanno un emblematico protagonista, oltre che della storia della letteratura russa, della Storia maggiore del suo paese nel XX secolo.