E nel 1991 in sala giochi debuttavano gli olo-giochi
Un cowboy in viaggio nel tempo, nel futuro immaginato da Sega
“Quella che abbiamo creato è una nuova forma d’intrattenimento, la chiamiamo Hologame”, pensieri e parole di Tom Petit, ai tempi presidente di Sega Enterprises. Difficile stabilire quale fosse l’equilibrio, o lo squilibrio, tra il mestiere e la pura convinzione di Petit quanto parlava di Time Traveller, primo di soli due esponenti di quella “forma d’intrattenimento”. I fatti ci raccontano indiscutibilmente di un passo falso, uno dei tanti e dei necessari, probabilmente, per poter affinare la mira e passare ad altro.
Quando nel 1991 Sega prova a stupire il mondo con un gioco “olografico”, si sta spartendo il settore dei cabinati da bar e sale giochi con pochi altri grandi dell’epoca. È mossa da un fuoco sacro che la spinge a tentarle tutte e ad azzeccarne molte. Non è, come detto, il caso di Time Traveller, che rimane comunque un esperimento curioso e affascinante, in particolar modo a vent’anni di distanza.
Utilizzare il termine “olografico”, parlando di Time Traveller, è una questione di cortesia e di rispetto, che peraltro non deve mai spingersi a tal punto da farci togliere quelle virgolette. Perché quello di Sega è un progetto ambizioso ma che voleva semplicemente dare l’illusione della resa olografica. Quando compare nelle sale giochi il cabinato ricorda più da vicino una lava-asciugatrice di quelle a caricamento verticale, piuttosto che il nuovo miracolo tecnologico “di quelli di Out Run”. Il motivo è presto spiegato: nelle viscere dello scatolone bianco deve esserci spazio per un televisore a tubo catodico, che lancia l’immagine del gioco verso uno specchio ricurvo che la “porta” al giocatore e dà quell’illusione di immagini tridimensionali esistenti in uno spazio reale.
Il tutto viene pensato per dare vita a una sorta di piccola epopea che si sposta tra svariate ere della storia umana. Chi stringe il joystick tra le mani si ritrova di fronte a un discreto esponente della famiglia dei laser game. Non Final Fight, insomma, ma Dragon’s Lair. Pochi istanti per impartire l’istruzione corretta, che sia una direzione o un pulsante che fa agire il personaggio principale, e tante occasioni e monete ingoiate per imparare dai propri errori. Sega per l’occasione inserisce una serie di meccanismi per rendere vagamente più abbordabile la cosa e c’è anche la possibilità di riavvolgere momentaneamente il nastro (che nastro non è, ma concettualmente ci siamo).
L’idea di proporre protagonista e nemici in uno spazio completamente nero aiutava a trasmettere la sensazione di fissare effettivamente degli elementi tridimensionali al centro di un palco virtuale. La caratterizzazione dell’eroe, un cowboy come quelli visti in televisione, e il resto lasciavano però un po’ a desiderare in quanto a impronta artistica.
Sega ci riproverà un anno più tardi, ferita dal successo strabordante di Street Fighter II che, al debutto negli stessi mesi di Time Traveller, aveva di fatto cancellato lo strano “olo-gioco” dal mercato. Il risultato sarà, prevedibilmente, un olo-picchiaduro, dal nome Holosseum. Questa volta si torna a uno stile di gioco più tradizionale, si abbandonano i filmati e gli attori e si mette in cascina, comunque, un risultato equivalente. Leggasi: male e forse malissimo. Time Traveller tornerà a sorpresa al suo decimo compleanno, in una versione per PC su DVD nel 2001, con tanto di occhialetti 3D di carta e plastica a provare a emulare l’effetto del cabinato originale.
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