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Videogiochi: una ricerca svela cosa ce li fa amare e perché creano dipendenza

Alcuni ricercatori hanno analizzato diversi aspetti legati all’esperienza di gioco per comprendere cosa spinga il cervello a diventarne dipendente

IGN

La storia ci insegna che i giochi, ma soprattutto i videogiochi, costituiscono un aspetto ormai insostituibile dell'umanità. È ormai innegabile come i videogame aiutino a sviluppare le capacità di risoluzione dei problemi, a socializzare, ad alleviare lo stress e ad esercitare mente e corpo. Tuttavia, l’universo videoludico possiede anche un lato oscuro: il potenziale di dipendenza. La crescita esplosiva dell'industria dei videogiochi ha generato infatti diversi tipi di giochi destinati a diversi gruppi di persone. Ma cosa li rende esattamente così coinvolgenti? Uno studio giapponese tenta di svelarlo in una ricerca.

La domanda si pone di difficile risoluzione, avendo a che fare direttamente con aspetti della mente umana, il cui funzionamento resta da sempre un mistero. Tuttavia, potrebbe esserci un modo per rispondere facendo leva su ciò che si conosce del mondo fisico e delle sue leggi. Al Japan Advanced Institute of Science and Technology (JAIST), in Giappone, il professor Hiroyuki Iida e i suoi colleghi sono stati pionieri di una metodologia chiamata motion in mind (letteralmente, "movimento nella mente"), che potrebbe svelare cosa attira i giocatori verso il mondo dei videogiochi e li spinga a restare incollati ai propri computer e console.

L’approccio degli esperti è incentrato sulla modellazione dei meccanismi che operano nella mente quando si gioca, utilizzando l'analogia con i modelli fisici reali di movimento. Per fare un esempio, i concetti di energia potenziale, forza e quantità di moto della meccanica classica sono considerati analoghi a diversi aspetti legati al gioco, tra cui il ritmo, la casualità e la correttezza. 

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Il professor Iida ha dunque collegato il modello di movimento nella mente con i concetti di impegno e dipendenza in vari tipi di giochi estrapolandoli dall'esperienza percepita dal giocatore e dai suoi comportamenti. La teoria e i risultati del team sono stati supportati da un modello concettuale, derivato da studi etnografici e dalle scienze sociali, che suggerisce come il coinvolgimento e la dipendenza siano due facce della stessa medaglia

Il loro approccio fornisce anche una visione più chiara di come la difficoltà percepita (soggettiva) di risolvere le incertezze durante un dato gioco può differire e persino superare quella reale (oggettiva) e come questo influenzi il comportamento del giocatore coinvolto e le sue reazioni. "I nostri risultati sono preziosi per comprendere le dinamiche delle informazioni nelle diverse meccaniche di gioco che hanno un impatto sullo stato mentale del giocatore.Tutto ciò ci aiuta a stabilire la relazione tra il processo di gioco e la sensazione psicologica associata", spiega il professor Iida. Tale intuizione potrebbe dunque aiutare gli sviluppatori a rendere il contenuto del gioco più coinvolgente, ma sano e personalizzato sia a breve che a lungo termine.

Ulteriori studi renderanno quindi la personalizzazione delle esperienze di gioco molto più immediata, come osserva il professor Iida: "Il nostro lavoro è una pietra miliare per collegare la psicologia comportamentale alle esperienze di gioco e presto saremo in grado di manipolare queste informazioni meccanicamente e adattarle verso specifiche esigenze e casi d'uso". 

Speriamo quindi che queste scoperte possano far compiere alla tecnologia un passo in avanti nella lotta alla dipendenza dai videgiochi, mantenendone immutato il divertimento.

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