La vicenda umana e giudiziaria di Carola Rackete potrebbe avere ripercussioni sulle vite di tutti gli utenti del web: oltre l'arresto e il processo per direttissima per i reati di resistenza e violenza contro una nave da guerra, la capitana della Sea Watch 3 era diventata il bersaglio di insulti e minacce pesantissime (diffuse attraverso la Rete, ma pronunciate anche da persone in carne e ossa al momento del suo sbarco a Lampedusa, lo scorso 29 giugno).
E l'attacco verbale non si è limitato alla giovane comandante: anche la gip Alessandra Vella che non ha convalidato l'arresto è stata aggredita online, così come tutti i personaggi pubblici che si sono schierati dalla sua parte (Emma Marrone solo per citare il caso più popolare). I legali di Carola avevano già presentato una querela contro il ministro dell'Interno Matteo Salvini per istigazione a delinquere e diffamazione, ma adesso hanno deciso di ampliare il raggio d'azione e di studiare strategie normative che possano aiutare chiunque venga attaccato dagli haters, gli utenti che usano i social network per offendere e minacciare protetti dall'anonimato.
L'avvocata Cathy La Torre dello studio Wildside Human First Legali Associate e la filosofa Maura Gancitano di Tlon hanno lanciato la campagna #OdiareTiCosta, un hashtag ma soprattutto un team di professionisti di diversi ambiti che aiuteranno le vittime di hate speech ad avere giustizia, nella forma di un risarcimento economico che, si spera, possa disincentivare a lungo termine i comportamenti scorretti sui social. Tgcom24 ha raccolto i dettagli del progetto dalla voce delle due fondatrici. Il loro invito è quello di segnalare i commenti violenti mandando una mail all'indirizzo odiareticosta@gmail.com con il link (non la fotografia) al contenuto ritenuto lesivo.
Cos'è la campagna #OdiareTiCosta e qual è il suo obiettivo?
Gancitano: L'iniziativa nasce da Wildside e Tlon proprio per tenere insieme la strategia giuridica e il dibattito pubblico su questo tema, dunque non si tratta solo di una campagna mediatica, ma di una pratica che vogliamo rendere epidemica. Lo scopo è permettere a chi riceve commenti di odio sui social di tutelarsi e a chi ha l'abitudine di insultare e minacciare online di percepire che ciò che sta facendo è illecito. Le cause legali su questo fenomeno sono poche, costosissime, lunghe, quindi non alla portata di tutti. OdiareTiCosta vuole semplificare le procedure e cambiare il modo in cui si percepisce ciò che accade sul web.
Da chi è composto il team che la sta realizzando? Come vanno a braccetto filosofia e diritto?
Gancitano: Il team è composto da avvocati, esperti forensi, hacker etici, investigatori privati ma anche filosofi, scrittori, divulgatori. Filosofia e diritto sono sempre andate a braccetto, perché la filosofia si domanda come stare al mondo e come esprimere la propria libertà di parola senza ledere e ferire gli altri, e il diritto permette di formulare e applicare tutto questo per garantire a ogni persona di essere tutelata.
Il caso di Carola ma non solo: in quali tipi di casi persone comuni potrebbero ottenere un risarcimento?
La Torre: OdiareTiCosta è una rivoluzione culturale e giuridica applicabile a chiunque sia vittima di offese, ingiurie, frasi impronunciabili. Il senso che vogliamo trasmettere è che anche essere offesi gravemente una sola volta ci rende vittime di odio e perciò meritevoli di tutela legale. Quindi è rivolto a chiunque, ragazzi, minorenni, donne, uomini che ogni giorno subiscono sui social offese indicibili magari solo perché esprimono un'opinione in dissenso con la cultura dominante.
Maura Gancitano (a sinistra) e Cathy La Torre (a destra).
Sul piano legale come funzionerà la campagna? Come pensate di agire?
La Torre: Useremo gli strumenti che la legge già garantisce, per esempio il principio per cui “chi cagiona ad altri un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo”. In poche parole è lo stesso principio che si applica in un incidente stradale: se mi tamponi o mi tagli la strada e mi faccio male, sei tenuto a risarcirmi. In rete il male è alla propria reputazione, all'immagine e al benessere della persona.
In che modo le leggi attuali possono essere utilizzate per tutelare dall'odio in rete?
La Torre: Oggi esistono due strade da perseguire. Agire penalmente per Risarcimento del danno da diffamazione (ai sensi dell’art. 595, comma 3, del codice penale), aggravata proprio perché la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca Facebook ha l'attitudine di raggiungere un numero indeterminato di persone. L’odio e le offese producono sempre una lesione alla dignità, alla reputazione, all’immagine della vittima: tutti beni tutelati dalla nostra Costituzione e che costituiscono quel complesso di condizioni da cui deriva il valore della persona. Oppure si può scegliere la Tutela civile, l’azione risarcitoria in ambito civile prevista dall’art. 2043 del codice civile. Se si sceglie questa seconda via è peraltro obbligatoria la mediazione, ovvero un tentativo di conciliazione prima di arrivare davanti a un giudice. Ecco, noi pensiamo che la mediazione sia già un modo culturale per guardarsi in faccia, chiedersi scusa e risarcire le vittime. Diversamente sarà un giudice a condannare questi haters.
E sul piano culturale come si può arginare l'odio web? Chi sono i soggetti ai quali compete questa parte? Non è forse sbagliato pensarlo come problema solo del web?
Gancitano: Il web è la manifestazione di ciò che accade nella società, quindi dell'atmosfera che si respira nel Paese. Non si può agire solo sul web, ma il web è la nuova piazza in cui avvengono i dibattiti. Servono iniziative che possano cambiare il modo che abbiamo di vivere nella società, sia online sia offline. Nelle scuole, nei luoghi di lavoro, in ogni comunità bisognerebbe creare occasioni di riflessione e confronto su questo tema, perché l'odio sul web manifesta la difficoltà di vivere in un mondo che sta cambiando. Politici, giornalisti, insegnanti, genitori, educatori, datori di lavoro, sindacalisti, attivisti sono le figure a cui pensiamo competa questa parte, ma in realtà ogni persona che crede in una società democratica e abbia una coscienza civica ha il compito di fare il possibile per operare questo cambiamento culturale.
Le prime e principali vittime degli "odiatori" sono le donne: per quale motivo?
Gancitano: Si tratta di un problema culturale. Nel nostro Paese una donna libera, forte, volitiva, indipendente provoca ancora moltissimo fastidio, perché siamo immersi in una cultura machista che non ritiene autorevoli le donne, giudica ossessivamente il loro aspetto e augura violenze fisiche e psicologiche. Si tratta di un tema che Tlon e Wild Side hanno da sempre molto a cuore e che avrà spazio nell'attività di OdiareTiCosta insieme a tutte le altre caratteristiche oggetto di continua discriminazione.
Perché gli haters pensano di poter agire indisturbati e di restare impuniti quando si esprimono sui social?
La Torre: le ragioni sono molteplici. La prima è che la politica ha dato il peggiore spettacolo di sé quanto a linguaggio e incitamento all’odio. Perciò l’automatico meccanismo che scatta è un collettivo senso di impunità. La seconda è più tecnica: la maggior parte dei social che utilizziamo, Facebook, Instagram, Twitter, sono come un micro mondo dove valgono le regole che abbiamo sottoscritto aderendo a quei social. I famosi “standard di comunità”. Peccato che questi standard siano sostanzialmente poco conoscibili, si basino sulla legislazione americana dove esiste solo il cosiddetto free speech e l’odio è trattato come una libera opinione. Le nostre leggi nazionali però dicono ben altro. Se offendo qualcuno per strada sono passibile di querela. Stessa cosa deve valere sulle piattaforme social che, mi permetto di dire, possono e devono fare di più contro la piaga dell’odio sui social.
Turpiloquio, minacce, violenza, discriminazione: perché i social sono terreno fertile per tutto questo? Si tratta di falle insite nel loro stesso meccanismo o di un uso totalmente distorto che gli utenti ne fanno?
La Torre: È certamente un mix delle due cose. Maglie larghe da parte dei social e possibilità di sfogare i peggiori istinti pensando di restare impuniti. Ecco perché #OdiareTiCosta rappresenta una novità potenzialmente dirompente: alla fine di questo percorso noi vogliamo che sia chiaro che ogni nostra affermazione ha una conseguenza. Che un'opinione è cosa diversa da una diffamazione e che se si usano parole d’odio si paga un prezzo alle vittime. E chissà che questo non rivoluzioni l’intero modo di stare sui social!