Coltivazioni preziose

Eccellenze italiane: l’ostrica rosa di Scardovari

Prende il suo nome proprio dal colore del guscio: questo mollusco dalle caratteristiche eccezionali è derivato da un metodo di allevamento fortemente innovativo in costante equilibrio tra acque salate e dolci.

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Ostrica rosa di Scardovari o Ostrica rosa Tarbouriech: un’ostrica bella e preziosa come un gioiello, che viene coltivata in Italia e che sembra addirittura battere quella francese, per gusto e polposità. Siamo nella provincia di Rovigo, in Veneto, nella Sacca di Scardovari (Patrimonio Unesco e Riserva della Biosfera), una laguna di circa tremila ettari, magico punto di incontro tra il fiume Po e il mare Adriatico, che proprio dalla miscela tra acqua dolce e salata trae uno degli elementi che l’hanno resa celebre per la molluschicoltura.

I buongustai appassionati di mitili certamente conosceranno le cozze e le vongole di Scardovari come tra le più buone nel mercato, per qualcuno le più buone in assoluto. Un livello di eccellenza che ha portato al riconoscimento, nel 2013, della Cozza di Scardovari come DOP secondo la legislazione europea.
Ma forse pochi sanno che da queste terre nasce anche la regina dei molluschi, il frutto di mare prezioso, afrodisiaco e chic che molti ancora associano alle coste del nord della Francia o dell’Irlanda. E che regina! Il livello di eccellenza che questa ostrica può vantare non ha, infatti, proprio nulla da invidiare alle Gran Crù di provenienza francese.

Prodotta sì nel nostro Paese ma brevettata in Francia. L’ostrica rosa Tarbouriech prende infatti il nome dall’ostricoltore francese Florent Tarbouriech che, per superare la scarsa predisposizione all’allevamento delle ostriche del territorio dell’azienda ereditata dal padre, inventò il metodo di allevamento brevettato che oggi Alessio Greguoldo, giovane imprenditore polesano, ha perfezionato per la zona di Scardovari. Greguoldo produceva già vongole e cozze DOP, ma è solo andando a vedere con i suoi occhi come venivano coltivate le ostriche in Francia, da Tarbouriech, che intuì che le caratteristiche uniche che rendono grandi le cozze e le vongole del suo territorio potevano fornire un habitat ideale anche per l’ostricoltura. Tante erano le difficoltà da superare, ma il giovane coltivatore (appoggiato dal Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine) non si è arreso e, con metodo e determinazione, dopo 7 anni di ricerca, ha coronato la sua ambizione.

Le carni della Perla del Delta (così è stata definita) sono particolarmente consistenti, la polpa, ricca, croccante e carnosa ha un sapore delizioso e meravigliosamente persistente (che rilascia prima la freschezza del mare, poi quella vegetale, per finire poi nelle note di frutta secca), il guscio, rasato e ondulato, è decisamente pulito e privo di impurità. Il suo nome, “ostrica rosa”, prende spunto dal colore delle striature del guscio, baciate dal sole.

Come per gli aromi nel vino, anche l’ostrica può regalare diversi sapori, alcuni più immediati, i primari, altri più complessi che emergono nella persistenza in bocca e nel retrogusto. I sapori primari sono legati al mare e alla freschezza, quelli secondari, invece, si avvicinano alle note vegetali. Non tutte le varietà di ostriche sono però in grado di regalare anche sapori terziari, legati alla molecola di grasso presente, di cui invece è ricca l’ostrica rosa di Scardovari, grazie alla sua grande consistenza carnosa, con note di frutta secca fino all’umami, il quinto gusto più tipico e presente nella cucina giapponese, a cui però il palato occidentale non è allenato.

La coltivazione che viene utilizzata a Scardovari è di tipo verticale, con movimenti motorizzati, alimentati da energia solare ed eolica, che suppliscono all’assenza delle maree naturali. E prima di arrivare alla distribuzione, le ostriche di Scardovari vengono maneggiate da mani sapienti non meno di 15 volte, e pulite a mano una ad una. L’habitat di Scardovari consente una maturazione molto più veloce che in Francia, Irlanda e Olanda, per citare i luoghi di eccellenza di produzione ostricola più noti: meno di un anno e mezzo rispetto ai 3 o 4 anni richiesti dai mari del nord. E non solo la maturazione è rapida, ma la qualità generale è superiore, dal livello di riempimento del mollusco nelle valve, alla capacità di sopravvivenza dell’ostrica una volta raccolta, che arriva fino ai 30 giorni, ben più di quanto avvenga per altre varietà.

Insomma, una nuova eccellenza italiana di indiscutibile e grande classe, e dal sapore superiore. Come gustarla al meglio? Al naturale, prima di tutto, cercando di evitare il limone (che uccide tutti i suoi sapori), o con un cucchiaio della famosa salsa mignonette: a base di aceto di vino rosso e scalogno tritato finemente, accompagnandola con una fettina di pane imburrato. E da bere? Ovviamente le bollicine!

Di Indira Fassioni