È notte. Il grosso Tir arranca sull’autostrada. Il viaggio è lungo e Pasquale è stanco. La sua mano si abbatte sulla freccia e il bestione imbocca la corsia dell’autogrill. Il tempo di un caffè, una manata d’acqua in faccia e Pasquale riprenderà il cammino.
Fa il camionista da quando la camorra è entrata di traverso nella sua vita di artigiano. Lavorava come sarto in una delle tante aziende di Arzano, nel napoletano. Così bravo che lo avevano ingaggiato gli atelier che rifornivano le grandi maison della moda. Poi una storia di pizzo e una guerra tra le cosche contro gli opifici dei cinesi gli avevano rovinato la vita. Ma quella notte Pasquale si ritrova come per magia con le forbici e l’ago in mano, quando dalla tv dell’autogrill scopre che un abito da lui stesso confezionato veste Angelina Jolie durante la cerimonia della notte degli Oscar.
È una scena di Gomorra, di Matteo Garrone, tratto dal libro di Saviano, edito da Mondadori. “In tv Angelina Jolie calpestava la passerella della notte degli Oscar indossando un completo di raso bianco, bellissimo”, scrive l’autore, raccontando la storia di Pasquale. Una di quelle storie che probabilmente sarebbero rimaste sconosciute, come la storia del “chiodo” di Michael Jackson che vi vogliamo raccontare. Il giubbotto rosso con strisce nere a contrasto, in pelle di nappa che Jacko indossò per il video di Thriller del 1982. Pochi lo sanno ma è stato plasmato da noi italiani. Lavorato nel polo conciario di Solofra, in provincia di Avellino. Non lontano dalla Terra dei Fuochi in cui tagliava e cuciva Pasquale. Circa un anno prima dell’uscita del video, una maison di moda molto importante commissionò a una conceria irpina la realizzazione di alcune pelli.
“Ricordo che in un primo momento il giubbotto, già ultimato, ci fu rispedito indietro – racconta un chimico avellinese - perché quando veniva stirato, il rosso e il nero si sovrapponevano. Così dovemmo fare diversi tentativi prima di riuscire a fissare meglio i colori. Non sapevamo che l’avrebbe indossato Jackson, lo scoprimmo solo quanto uscì il video”.
Sono passati 10 anni dalla morte di Michael Jackson. Era il 25 giugno 2009. A Los Angeles, alle 14:26 ora americana presso l'ospedale Ucla Medical Center, l’autore di Thriller fu trasportato in ambulanza dopo che aveva perso conoscenza nella sua casa al 100 North Carolwood drive di Hombly Hills, esclusivo quartiere collinare. Spirò dopo l'ennesima notte insonne e l'assunzione di potenti sedativi, che gli aveva somministrato un medico personale, ingaggiato perché si occupasse della star durante le prove del tour.
Dopo la morte, il chiodo avellinese di Jacko è stato battuto all’asta per 1,8 milioni di dollari. La previsione di vendita era tra i 200mila e i 400mila dollari. Invece il signor Milton Verret, un commerciante statunitense, è riuscito ad aggiudicarselo per una cifra da capogiro. E non per tenerselo nell’armadio. Verret, infatti, aveva subito annunciato che quel capo conciato in Italia avrebbe fatto in giro per il mondo per raccogliere fondi da destinare a una associazione benefica che si occupa di bambini. Un piccolo orgoglio del Made in Italy in giro per il mondo.
Dieci anni fa, alla Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, è stato proiettato “Michael Jackson’s Thriller 3d”, di John Landis. Tutti hanno ricordato che il re del pop amava le cose belle e i capi in pelle italiani. E sul giubbotto rosso di Thriller nessuno avrebbe saputo fissare così bene i colori, come seppero fare i conciatori solofrani.
Thriller è uno degli album più venduti di tutti i tempi, vincitore di 8 Grammy Awards su 12 nomination. E anche l’Irpinia ha avuto la sua parte nella creazione del mito di Jackson, con il “chiodo” indissolubilmente legato a uno dei video più famosi della storia della musica.
Oggi il polo industriale di Solofra è in difficoltà. Anche se l’arte della pelle in Campania rappresenta il terzo distretto conciario insieme ad Arzignano e a Santa Croce sull’Arno. Una realtà sempre in bilico tra i problemi di inquinamento ambientale e un mercato dell’alta moda alla ricerca di prodotti unici per qualità e lavorazione.
Tra depuratori malfunzionanti e opifici abusivi nascono e creano geni assoluti come Pasquale, che ha cucito l’abito scintillante di Angelina. O come il conciatore che ha fissato il rosso e il nero sulla nappa del “chiodo” di Jacko.
Già, come “Il rosso e il nero”, “Le rouge et le noir”, il manoscritto di Stendhal venduto per 1500 franchi all'editore Levasseur, che lo pubblicò in due tomi a Parigi e divenne un capolavoro. "Un romanzo – c’è scritto lì dentro - è uno specchio che passa per una via maestra e riflette sia l'azzurro dei cieli che il fango dei pantani”. Nel raso dell’abito di Angelina c’è l’azzurro del cielo della Terra dei Fuochi, cucito da Pasquale. Nel “chiodo” di Jacko c’è un refolo dell’odore forte della concia, fissato sulla nappa, da un artigiano solofrano.