Corte europea dei diritti umani

Carceri, Strasburgo boccia l'Italia: riveda la legge sull'ergastolo

Nel mirino europeo il fatto che a priori, perché non si collabora con la giustizia, questo tipo di pena carceraria impedisce di ottenere permessi premio, la semilibertà o la libertà condizionale

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La Corte europea dei diritti umani ha bocciato la legge italiana sull'ergastolo, il cosiddetto "carcere ostativo", e con una sentenza ha condannato l'Italia a pagare seimila euro di spese legali, chiedendo che la norma sia riformata. Secondo i giudici di Strasburgo infatti, la legge viola la dignità umana e sottopone a trattamenti inumani i detenuti.

Nel mirino europeo il fatto che a priori, perché non collaborano con la giustizia, questo tipo di pena carceraria impedisce ai detenuti di ottenere permessi premio, la semilibertà o la libertà condizionale, oppure di lavorare fuori dal carcere. La decisione, che in assenza di ricorso diventerà definitiva tra tre mesi, è stata salutata dall'associazione Antigone come "una decisione di grande rilievo in cui si è stabilito che la dignità umana viene prima, sempre"; mentre l'ong Nessuno tocchi Caino l'ha definita un "pronunciamento storico".

La sentenza è stata emessa sulla base del ricorso presentato da Marcello Viola, in carcere dall'inizio degli anni Novanta per associazione mafiosa, omicidio, rapimento e detenzione d'armi. L'uomo, che sinora ha deciso di non collaborare con la giustizia si è visto rifiutare le richieste per i permessi premio. Nella sentenza la Corte gli ha accordato 6mila euro per le spese legali ma nessun risarcimento per i danni morali. Viola aveva chiesto 50mila euro. Inoltre i togati hanno chiarito che la decisione non implica un rilascio imminente.

La bocciatura della Corte riguarda in particolare un punto, e cioè che la mancata collaborazione da parte dell'ergastolano ostativo (secondo i dati forniti alla Corte nel 2016 erano 1.216) lo esclude dal poter ottenere benefici. Ed è questa ineluttabilità ad essere criticata.

La Corte infatti afferma che il detenuto può avere molte ragioni per non collaborare, e osserva che la collaborazione non significa necessariamente che la persona abbia interrotto ogni contatto con le associazioni per delinquere e che quindi non sia più un pericolo per la società.