A distanza di cinque anni dal suo ultimo disco, torna Tricarico con "Amore dillo senza ridere ma non troppo seriamente", un titolo che esprime perfettamente "un equilibrio tra due anime, quella seria e quella del sorriso". Con alle spalle più di vent'anni di carriera, che è iniziata nel 2000 con il singolo "Io sono Francesco", il cantautore milanese mette al centro del suo ottavo album "le relazioni umane e amorose" raccontando a Tgcom24 come le nuove canzoni siano "una specie ponte tibetano, un po' precario, tra qualcosa che c'è stato a qualcosa di nuovo".
Partiamo dal titolo, com'è nato e perché lo hai scelto
Sono i primi versi di una cosa che ho scritto. Mi sembrava raccontasse bene l'album. Ci vedo bene i due aspetti, quello serio e quello del sorriso, e che i due possano convivere. Penso che questo album sia una specie ponte, un ponte tibetano, un po' precario, un viaggio su un ponte tra qualcosa che c'è stato a qualcosa di nuovo. Penso che l'ironia e il sorriso siano i modi più belli per affrontare tutto ciò che accade
Qual è il tema che percorre questo tuo ottavo lavoro?
Sono tutte relazioni umane e amorose e con se stessi. Riguarda la conoscenza, in un senso più alto, lo scambio di informazione tra umani.
Quando hai scritto e registrato le nuove canzoni, prima o durante la pandemia? Sono state influenzate dall'emergenza sanitaria?
Tutto prima. E' pronto da un paio d'anni. Fortunatamente non parla di questo periodo. Prima ce lo scordiamo meglio è. Ogni canzone ha una sua storia e va bene così, e non ho mai sentito la necessità di ritoccarle successivamente. Anche nel loro insieme. Avevano un loro senso preciso e un equilibrio.
I brani del disco hanno dei mood diversi a livello musicale. Ad esempio "Mi manchi negli occhi" è intima e dolente mentre "La bella estate" è più fresca e frizzante
Ci sono due anime che convivono nel disco e credo sia il simbolo di grande saggezza. Mi piace riuscire a ridere dei drammi e giocare con questo equilibrio tra il serio e il faceto.
L'anno scorso hai festeggiato 20 anni da "Io sono Francesco". Quando adesso ti guardi indietro come vedi il tuo percorso fino a qui?
E' un bel percorso, ricco di tante esperienze e consapevolezze, di cose perse e raccolte. Ricco di tanti album, ognuno con una sua storia. Ma a me piace pensare al futuro e al nono album che verrà. Come un percorso che debba riservarmi ancora le cose più belle.
Com'è il tuo rapporto con la canzone italiana contemporanea?
Non ho sentito molte cose interessanti. Quello che passa mi sembra di averlo già sentito: un pop anni 80 rivisitato e lucidato. E' tutto molto veloce, sui 15 secondi di attenzione. Quindi nessuna attenzione. Mi sembra che ci sia molto mestiere e molta capacità comunicativa e che le anime fragili e pure non abbiano spazio in questo tritacarne, del nuovo cantautorato. La canzonetta sembra diventata un mestiere per giovani rampanti.
De Gregori è tornando molto come modello del nuovo cantautorato italiano, da Fulminacci a Brunori fino a Motta. Come è nato il tuo rapporto con lui e la collaborazione e cosa pensi di lui a livello artistico?
Lui una volta aveva scritto che gli piacevano gli sgembi: De Andrè, Tenco e tra i giovani, Tricarico. Mi sentii lusingato e lo chiamai. Lui mi invitò alla Garbatella nel 2019, durante la serie di concerti Off the record che tenne. Da lì nacque l'idea di fare un tour insieme. Trovo che sia un gigante in questi tempi pavidi, che sia capace di percorrere la sua strada senza compromessi. E per questo viene premiato dal pubblico. E' un grande uomo e ha una grande sensibilità umana.